di DARIO CIOFFI

(del 20 giugno 2015)

Il calcio, se non lo giochi, non potrà mai cambiare delle vite, ma fa compagnia alla gente. È meravigliosa materia universale dinanzi alla quale ogni differenza s’annulla, perché l’amore e la passione non conoscono diversità. Ce lo insegna Andrea, malcapitata vittima del vile raid di qualche suo concittadino, che ha punito per lesa maestà “pallonara” il 40enne di Nocera Superiore che tifa Salernitana, bruciandogli la bandiera granata che aveva orgogliosamente affisso al balcone perché lì, in un feudo dei “rivali” molossi, certi cimeli non sono ben accetti. L’estremismo, si sa, è sempre esasperazione, e inevitabilmente sfocia nell’inopportunità. Ancor più quando se la si prende con un ragazzo che in quel vessillo ha trovato la felicità d’una vita che con lui non è stata tenera.

È affetto da sindrome di down, Andrea. A qualcosa, rispetto agli amici e ai coetanei, ha inevitabilmente dovuto rinunciare. Però i sentimenti sono più forti del destino, pure quando si mette di traverso. E così lui s’è fatto forte dell’amore smisurato della madre, della famiglia, d’affetti che l’hanno aiutato a sentirsi esattamente come gli altri, perché il valore d’un uomo, dinanzi a Dio e in mezzo a una comunità, è concetto molto più grande d’una qualunque disabilità.

Anche la passione per il calcio è stata importante. Non ha potuto cambiarlo, ma gli fa una compagnia immensa ogni giorno, da quando lo portarono per la prima volta allo stadio trasmettendogli l’attaccamento viscerale verso la Salernitana. Ognuno ha una squadra, e Andrea ha scelto la sua, senza mai cambiarla, anche se non gli ha regalato grandissime vittorie, però un mare d’emozioni in cui lui s’è idealmente tuffato, nuotando felice e vivendo con l’autenticità ch’è propria solo delle persone vere la gioia che si prova per una promozione, ma pure l’umanissima delusione d’una sconfitta. Lui è come noi, e noi siamo come lui, anche grazie a quegli undici calciatori in maglietta granata che a volte fanno gol e altre ne prendono, facendo palpitare migliaia di tifosi così diversi tra loro, eppure accomunati dallo sportivissimo status di “sudditi” d’una signora del pallone che pomposamente – però convintamente – definiscono la loro regina.

Sono le magie d’un gioco fantastico, per il suo potere d’aggregare. Andrea ne è stato ammaliato, e non dovrà cedere alla tentazione di pensare che si sia rotto l’incantesimo. Non certo dopo il gesto d’improbabili “rivali” che c’entrano nulla pure con il campanilismo. Già, perché i supporters di Salernitana e Nocerina non si sono mai amati, però anche il loro acceso antagonismo non accetta miserevoli azioni come quella dell’altro giorno. Non sono, quelli che hanno dato fuoco al vessillo dell’ippocampo di Andrea, i sostenitori né gli ultras molossi. Niente retorica, signori. Semplicemente storia, pure recente. I veri cuori rossoneri, che il colore granata non lo tollerano se non è indossato dal Torino, sono i ragazzi che hanno raccolto fondi e giocattoli per consegnarli al piccolo Armandino, il baby tifoso del cavalluccio marino ch’è diventato un’icona della torcida della Curva Sud Siberiano, schierandosi al suo fianco nella battaglia contro il Sarcoma di Ewing. Perché l’universo curvaiolo, e calcistico in genere, ha tanti scheletri nell’armadio e un bel po’ d’errori commessi nel suo passato, però non accetta insensate arroganze. «Cose che con lo sport hanno nulla a che fare», si dice troppo frequentemente con un consumato stereotipo, spesso impregnato d’insopportabile e inopportuna demagogia. Stavolta no, è così davvero.

Chi ha ferito Andrea non sa cos’è il tifo, né va confuso con il calcio. Ma ha tempo per imparare. Magari proprio da lui. Già, perché anche un ragazzo affetto da sindrome down ha tanto da insegnarci…

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