di DARIO CIOFFI
(del 14 settembre 2015)
«Ci piace pensare che la Salernitana sia nata davanti a una birra». A Palazzo Genovese, per tre giorni e tre notti, la storia s’è mischiata alla leggenda. “Salernitana, la maglia” ha raccolto un successo incredibile, impensabile anche per i ragazzi dell’Associazione culturale “19 giugno 1919” che l’hanno promossa. Una mostra da migliaia di visitatori, un’emozione fortissima che ha attraversato generazioni d’appassionati, semplici cittadini, politici (s’è visto Roberto De Luca, figlio del Governatore della Campania e responsabile economico del Pd provinciale), calciatori di ieri e di oggi (da Fabio Vulpiani a Denilson Gabionetta, passando per Roberto Genco, Claudio Grimaudo, Livio Maranzano, Gigi Genovese, Nicola Provenza e molti altri).
Tutti, in quell’esposizione d’oltre 130 casacche (nella foto di Rosalba Massanova) che raccontavano quasi un secolo di calcio all’ombra del Castello d’Arechi, hanno vissuto un ideale viaggio del tempo. Che iniziava proprio da un angolo chiamato “Birraria Welten”, locale che all’alba del Novecento fu uno dei punti di riferimento per la società civile cittadina. Un ritrovo per molti, compresi i soci fondatori dell’Unione Sportiva Salernitana che sarebbe poi nata con l’atto costitutivo al civico 67 del fu Corso Umberto I. La ricostruzione storica si dipanava attraverso una sfilza d’aneddoti affascinanti. Le riproduzioni della prima maglia biancazzurra, poi il passaggio al granata, il “debutto” dell’effige del cavalluccio marino del maestro D’Alma, la casacca della vittoria dello scudetto Berretti. E ancora: la scelta del colore giallo come seconda divisa nella sfida contro il Grande Toro, un’inedita maglietta verde usata in una trasferta a Catania nel campionato 1979/’80 per sfuggire al “previsto furto” dei tifosi etnei che quel giorno festeggiavano la promozione in serie B, una viola che fu subito accantonata dopo la debacle di Battipaglia, un “pezzotto” dell’Adidas perché la serie originale era finita e così – in assenza del rifornimento dello sponsor tecnico – si decise di “falsificare” il logo del trifoglio.
Gettonatissimo il “muro anni Ottanta”, con una raffica di cimeli griffati Antonio Amato, lo storico pastificio che affiancò il suo marchio alla Salernitana per undici stagioni. E poi il “reperto” dell’esperienza del 2005 in Terza Categoria prima del fallimento del club di Aliberti, con una nota esplicativa sul “Lodo Petrucci, un pasticcio all’italiana” per introdurre le maglie dell’era Lombardi con il vituperato stemma della “palla di pezza”, sino ad arrivare alla numero 10 di Gabionetta nel recente derby contro l’Avellino (con tanto di t-shirt “Dimmi che si sente” mostrata dal brasiliano dopo il gol) e saltando volontariamente la parentesi del Salerno Calcio.
«Non abbiamo fatto nulla d’eccezionale, se non metterci tanto impegno, però siamo felicissimi d’una risposta di pubblico ch’è andata al di là d’ogni previsione», il commento d’un comitato organizzatore tanto stremato quanto orgoglioso al tramonto della kermesse. Code interminabili anche ieri, nelle ore conclusive: è stato difficilissimo arginare il fiume di visitatori a Palazzo Genovese. Lì, nel cuore di Largo Campo, la passione per la Salernitana ha dato un insegnamento che va ben oltre la fede calcistica. È la dimostrazione che il popolo della tanto discussa movida chiede eventi che aumentino l’offerta socio-culturale d’una città che soprattutto di sera non può esser soltanto l’invito d’un bar che pubblicizza “cicchetti” d’alcol al costo d’un pacchetto di chewing gum. Il senso e il valore d’un’iniziativa come la mostra dell’Associazione culturale “19 giugno 1919” sono una lezione durata tre giorni e tre notti, preziosissima in chiave futura per una comunità intera, nascendo dal calcio e partendo – ci si augura – dalle nuove generazioni. Tenetevi il “chupito” low cost. «Ci piace pensare che la Salernitana sia nata davanti a una birra»…