di DARIO CIOFFI

(del 9 luglio 2015)

Arriva il capitano, e nessuno gli fa l’inchino. La giornata salernitana di Francesco Schettino è sul filo d’una tensione che racconta rabbia, umanissima insofferenza. Il capitano della Costa Concordia è lì, al tavolo dell’hotel Mediterranea, a presentare “Le verità sommerse”, il libro di Vittoriana Abate, e pur sforzandosi proprio non riesce a strappare sorrisi. La sala gremita non lo “assale”, anzi, lo ascolta con attenta e rispettosa curiosità. Va da sé che il comandante di Meta non convinca con il suo argomentare, che ostenta incredulità rispetto a una condanna in primo grado a 16 anni per l’immane tragedia nelle acque dell’Isola del Giglio.

Salerno lo contesta, però senza mai scadere nell’inciviltà né nell’esasperazione. Pure il massiccio spiegamento di forze dell’ordine all’esterno dell’albergo si rivela inutile. Non c’è l’ombra d’un facinoroso sull’uscio d’una struttura in cui, piuttosto, il via-vai di persone concentra l’attenzione sul raduno della “nuova” Salernitana del calcio. Alle cinque del pomeriggio Schettino è già dentro. In camera. Il responsabile della Graus editore gestisce “il traffico” all’ingresso, mentre le circa cento persone accorse per assistere all’evento prendono posto in platea. «Io me ne vado, con lui la foto non la faccio», lo snobba Francesco Caterina, al secolo “l’Acchiappavip” salernitano, impareggiabile collezionista di scatti a braccetto con personaggi famosi.

È l’alba d’un prologo movimentato. Che sfiora l’incidente diplomatico. Alle otto meno venti della sera, con quaranta minuti di ritardo rispetto all’orario d’inizio previsto, il comandante della “nave della morte” fa il suo ingresso. Abbronzatissimo, giacca blu su pantalone e camicia bianca, scravattato e padrone della scena. Che scoprirà improvvisamente “spoglia”. «Il giornalista-scrittore Andrea Manzi e l’avvocato penalista Michele Tedesco, invitati come relatori a questa presentazione, hanno appreso da Schettino e dalla casa editrice del volume che non saranno fornite risposte a domande non attinenti gli stretti contenuti del libro. Per questo hanno deciso di rinunciare a partecipare. Io faccio lo stesso», annuncia il moderatore Franco Esposito. Il clima si surriscalda. Volano parole grosse. Vittoriana Abate, giornalista salernitana della Rai e autrice de “Le verità sommerse”, prova a mediare. Chiede «rispetto per una scelta dovuta semplicemente a ragioni d’opportunità giudiziaria, a pochi giorni, forse qualche ora, dal deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado da parte dei giudici del Tribunale di Grosseto».

Fa già un caldo bestiale, e l’atmosfera diventa torrida nonostante l’aria condizionata sparata “a palla”. L’attività diplomatica è complessa, ma alla fine sortisce gli effetti sperati. Il dibattito si svolge. E l’ineccepibile professionalità dei relatori riesce pure a tener pacati i toni che ogni tanto il pubblico sembra esasperare. Senza dimenticare 36 morti in mare, però senza neppure specularci. «Per partecipare a questa presentazione ho subito minacce sulla mia pagina Facebook», denuncia l’avvocato Tedesco, prima d’incalzare Schettino con un fuoco di domande. Proprio come Manzi, che scinde il simulacro del processo mediatico dagli atti giudiziari accuratamente sviscerati dall’inchiesta giornalistica della Abate.

Il protagonista, però, naturalmente è lui, Schettino. Fa un sorriso poco gradevole quando sente dire dal penalista che lo affianca e lo “interroga” che «la crociera non è una bella esperienza». Ma chiede la parola di continuo, per controbattere punto su punto alle osservazioni mosse. «Per tre anni ho attinto la forza dalla verità, dalla giustizia per l’onore delle vittime – dice voltandosi di continuo in cerca di (pochi) volti che annuiscano o gli trasmettano sguardi di consenso -. Nell’aula in cui son stato giudicato non c’erano tecnici. Nessuno sa chi è il comandante d’una nave». Un po’ s’imbarazza quando Esposito gli chiede dei proventi del libro. «Saranno devoluti in beneficenza. A chi? Non abbiamo interesse a dirlo. Non vogliamo far salire sul carrozzone mediatico anche le persone destinatarie dei fondi», risponde Vittoriana Abate. Poi lui aggiunge: «Ho pensato a una borsa di studio a un neo diplomato all’istituto nautico. Bisogna lavorare sulla sicurezza in mare». Si difende e contrattacca, il capitano: «C’è un crocevia d’interessi personali ed economici dietro questa storia. L’incidente è nato perché la nave è andata oltre la distanza limite. Le responsabilità degli altri sono state ignorate. Io non ho abbandonato la Costa Concordia. Anzi, ho fatto evacuare e salvato oltre 4mila passeggeri. Se mi fossi comportato diversamente, non facendo il servizio spola, saremmo ancora a contare le vittime».

L’inchino, la donna moldava in cabina con lui, l’ormai celebre «salga a bordo, cazzo!» nella telefonata di De Falco da Livorno. I capisaldi del “caso mediatico” sono inevitabilmente punti cruciali del botta e risposta, da cui Schettino prova a volte a evadere ribadendo, con il lucido consenso dei relatori, «che quelle son le cose che hanno voluto rendere pubbliche, perché negli atti processuali c’è molto altro». In base a quelle “carte”, però, il comandante di Meta è stato condannato in primo grado a una pena di sedici anni. «Io non sono scappato, e in molti dovrebbero passarsi una mano sulla coscienza», rivendica a voce alta mentre qualcuno abbandona la sala indignato. Un dissenso rispettoso, una contestazione pacata. Che sfuma mentre Schettino si sfila dopo circa due ore di dibattito. Nello stesso clima un po’ surreale che ne ha accompagnato l’ingresso. Va via, il capitano, e nessuno gli fa l’inchino.

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