di DARIO CIOFFI
(del 24 maggio 2017)
Picchiava forte il sole sul bordo vasca, nella primavera del 1999. Quella piscina, che dopo qualche tempo avrebbe (tristemente) cambiato nome, era per tutti la “Comunale del Torrione”, la casa della Rari Nantes Salerno, società di serie A2 di pallanuoto. Ed è lì che, dopo un allenamento, Simone Vitale confidò a un amico e compagno di squadra: «Marce’, te lo dico già adesso, e poi avviso anche il mister, che se la Salernitana si gioca la salvezza all’ultima giornata io per la trasferta di Catania non ci sono. Vado a Piacenza. Ché ora c’ho pure la maglia di Bernardini…». Il «Marce’» cui si rivolgeva Simone era Marcello Vuolo, che quella conversazione, pure a distanza di 18 anni, la ricorda come se fosse ieri. Con gli occhi accesi dall’emozione della memoria e con la voce che ancora trema nell’anniversario della tragedia del 24 maggio ’99, che a Vitale costò la vita, assieme ad altri tre ragazzi giovanissimi, figli di questa città.
«Era un tifosissimo granata, “Vito”. Non si perdeva una partita», racconta Vuolo che oggi allena il settore giovanile della Rari, dopo esserne stato giocatore di lungo corso e capitano. «Però quell’anno ero un ragazzino, debuttante in serie A2. Appena aggregato alla prima squadra. E “Vito”, ch’era il nostro portiere, fu uno degli amici che mi accolse con più premura all’interno dello spogliatoio, facendomi sentire a casa». Lo chiama “Vito”, un diminutivo del cognome con cui tutti i rarinantini distinguevano Vitale da un altro Simone, Silvestri. E a “Vito”, Marcello è legato da un filo indissolubile d’affetto, che neppure quel rogo maledetto e assassino è riuscito a bruciare. «Scherzavamo su tutto, in acqua e fuori. In allenamento mi divertivo a “colpirlo” su quel nasone rosso e, quando ci riuscivo, lui correva dal “mitico” Bebè per prendere la pompa e vendicarsi. La goliardia, l’allegria, la gioia di stare insieme erano i motivi che mi avevano fatto amare la pallanuoto. E affezionare a Simone».
Poi, un giorno di primavera, l’annuncio. Niente trasferta a Catania con la Rari Nantes, per Vitale. Ché si giocava di sabato pomeriggio (il 22 maggio), e la Sicilia era troppo lontana per esser pronto all’alba della domenica (il 23) a partire per Piacenza, dove la Salernitana avrebbe dovuto dare l’ultimo assalto alla salvezza nel campionato di serie A. «Inutile provare a convincerlo – ancora Vuolo -. Aveva deciso d’andarci, con la maglietta del suo calciatore preferito di quella squadra». Sì, avrebbe indossato la “numero 9” di Antonino Bernardini, «il professore» del centrocampo granata. L’ultimo viaggio di Simone cominciò così, con un “in bocca al lupo” ai compagni giallorossi e un arrivederci al “Torrione”, per la ripresa degli allenamenti, il 24 maggio. Il giorno in cui il destino diventò demonio.
«Morì da eroe, “Vito”. Io lo so. E non ne ho mai dubitato, già prima che lo insignissero d’una medaglia d’oro alla memoria», la certezza di Vuolo in un flusso di coscienza che prova a ricomporre i pezzi d’un puzzle sporco di sangue innocente. «Simone era innamorato dei Vigili del Fuoco. In piscina non faceva altro che raccontarci dell’esperienza fatta da ausiliare, degli interventi a Sarno, in occasione della tragica alluvione del 1998. Non solo. Era il primo a tuffarsi in acqua per aiutare un compagno di squadra, anche quando stava in panchina, lui ch’era vice del portiere titolare Manuel Tortorella. Me l’immagino, in quell’inferno, pronto a sacrificare se stesso pur di salvare gli altri». Marcello, dopo la partita di Piacenza, che sancì la retrocessione della Salernitana, telefonò al suo amico: «Avevo visto le immagini dei disordini in tv. I calciatori che litigavano in campo, la Curva granata in agitazione. Gli chiesi cosa stesse accadendo. Però lui mi rassicurò. “Tutto a posto, siamo in fila, usciamo, andiamo in stazione e torniamo a casa”, rispose. È stata l’ultima volta che ho sentito la sua voce».
Già, perché la notte del treno “speciale” fu un calvario consegnato alla storia, oltre che alla cronaca nera e giudiziaria, prima che il mattino seguente, a pochi chilometri dalla stazione di Salerno, quel rogo assassino strappasse alla vita, nel fiore degli anni, Simone Vitale e con lui Giuseppe Diodato, Ciro Alfieri ed Enzo Lioi. «Io andai a scuola, il 24 maggio. Era un lunedì. Nell’aula-laboratorio del liceo scientifico Severi, dove frequentavo il terzo anno, vidi la tv accesa che trasmetteva un’edizione speciale del tg. Non diedi troppo peso alla cosa. Poi, all’ora di pranzo, andai in palestra. Ci vedevamo lì per il riscaldamento, prima dell’allenamento in piscina. Quella volta non trovai nessuno. Intanto in città s’era diffusa la notizia della tragedia del treno. “Tra le vittime c’è anche il figlio d’un giornalista”, si venne a sapere. E io il papà di “Vito”, Giovanni Vitale, storica firma della Gazzetta dello Sport, lo conoscevo benissimo. Provai a telefonare a Simone: niente, segreteria telefonica. “Corri al Torrione”, mi disse un amico. Erano tutti lì i miei compagni. Mancava solo “Vito”. Perché non c’era più».
Il racconto struggente di Marcello Vuolo, però, va oltre l’umanissima disperazione di quel giorno. «Ricordo il funerale dei quattro ragazzi, e la gente che s’avvicinava al padre di Simone, raccontandogli ch’era stato un eroe, tra quelle fiamme. E poi non dimentico, né potrò farlo mai, la partita che giocammo a Salerno contro Siracusa, la prima della Rari senza il nostro “Vito”. Affrontavamo una squadra che non aveva mai perso quell’anno. La battemmo 9-8. Segnai anche un gol, e diedi un bacio verso il cielo. Sono sicuro che gli arrivò. A fine gara ci abbracciammo, tutt’insieme, e stringendoci forte scandimmo il suo nome». Quello che oggi dà l’intitolazione alla piscina. Che non è più la “Comunale del Torrione”, ma la “Simone Vitale”. Ed anche se – finalmente – da qualche anno è stata coperta, e d’inverno non ci si deve più giocare al gelo, di baci verso il cielo per “Vito” ne arrivano ancora tanti.