di DARIO CIOFFI
Il nome venne fuori in un pomeriggio di mezz’estate, davanti a un caffè che non era granché, a un tavolino affacciato sul mare di Pastena, incantevole nello scorcio e però a guardarlo bene sporco da far schifo. Un ossimoro. Un po’ come questa città, Salerno, bellissima e maledetta, che s’ama in maniera direttamente proporzionale all’insofferenza che si prova nel viverla con le sue assurde e soffocanti contraddizioni, con tutto ciò che (non) offre a una generazione che non sa se ha più coraggio chi parte o chi resta. “Macchie d’inkiostro”, decidemmo mentre il sole s’abbassava pian piano, ma in noi non c’era troppa voglia d’immortalarlo né comporre il “pensierino” da metter in coda alla foto a uso e consumo dei social. Si può fingere con gli altri, non con se stessi.
Provateci voi, un giorno all’improvviso, ad accorgervi che i sogni che stavate costruendo erano castelli di sabbia, che vanno giù alla prima onda d’un mare che non ha orecchie per ascoltarvi mentre vorreste spiegargli che forse non è proprio giusto così. Meglio guardare oltre. Ché poi le idee non mancavano, e cominciarono a prender forma in una sera senza stelle, in un bar di Baronissi, tra caldo appiccicoso e qualche Nastro Azzurro che si mischiava al veleno che scorreva in corpo, (ri)pensando a quel ch’era stato, e soprattutto che sarebbe potuto o dovuto essere. Umanissimi rimpianti, amarezze e cicatrici da cui ripartire, per riannodare il filo del discorso, convinti che il giornalismo sia ancora il mestiere più bello del mondo, anche se la “fame”, il dilettantismo e l’improvvisazione l’hanno troppo spesso mortificato e svuotato del suo fascino, della sua nobiltà, della sua sacralità.
“Macchie d’inkiostro”, allora, nel rispetto e nel solco d’una lunga e appassionata esperienza nella carta stampata, con l’obiettivo di (provare a) creare nell’oceano di internet un’isola d’approfondimento, riflessione e confronto su notizie e storie che ci ripromettiamo di raccontare senza filtri, con spirito critico e stando sempre – per scelta di campo e di vita – dalla parte della gente. Uno spazio libero, aperto e dinamico che vada oltre il diffuso rituale degli “acchiappalike” e del “click a ogni costo”, cercando di sviluppare temi d’attualità senza limitarci alla fredda cronaca, che pure dev’esser sempre la base di partenza.
“Macchie d’inkiostro” per riscoprire la bellezza di prendere e lavorare una notizia come se ci si stesse facendo l’amore (perché come tale andrebbe ogni volta trattata), la bellezza d’accompagnare il lettore tra i sentieri delle parole, la bellezza di vivere e trasmettere passioni autentiche approcciando all’informazione come abbiamo sempre fatto, con la massima professionalità ma senza prenderci troppo sul serio. Con sobrietà e senza presunzione. Rincorrendo la verità senza la pretesa d’incarnarla.
“Macchie d’inkiostro” nasce così. Per volere d’amici e colleghi che s’emozionano come bambini a Disneyland nel vedere una tipografia che stampa giornali, sapendo che in quell’inchiostro c’è (pure) il loro sangue, e che sentono ancora pulsar forte il cuore quando prendono, verificano o perdono per strada una notizia.
“Macchie d’inkiostro” è per chi crede a un tipo di giornalismo che noi abbiamo ancora voglia di fare.