di DARIO CIOFFI
L’alba d’un campionato, all’ombra del Castello d’Arechi, ha il volto, anzi la testa, d’un bambino che salta giù dalla poltrona del barbiere felice come tanti suoi coetanei sarebbero, altrove, se il padre gli avesse regalato l’ultimo nato tra gli smartphone, o il videogioco che più va di moda. Lui, invece, scorrazza tra ciocche di capelli ancora da spazzar via e tubi di shampoo profumati guardando orgoglioso allo specchio il “taglio” che il papà gli aveva promesso: il simbolo del cavalluccio marino “disegnato” con pennellate di lametta all’altezza della nuca. Dal lato opposto del salone un tizio sulla cinquantina lo fissa con occhi perplessi, scettici e saccenti. «Povero lui, e peggio ancora sarà suo padre», sembra dire quello sguardo di chi proprio non comprende, però in fondo neppure tanto conosce. Sì, perché in quel look, e ancor di più nella gioia che suscita in quel bimbo, c’è la lente d’ingrandimento d’una città, d’un popolo, che conta i giorni e scandisce l’attesa per i pochi granelli di sabbia rimasti nella clessidra, aspettando Venezia-Salernitana, l’inizio d’una nuova stagione granata, l’apoteosi d’una mobilitazione collettiva di cui il signore dalla smorfia irriverente e spocchiosa farebbe bene a sapere qualcosa.
Spiegateglielo voi che «non tifo per gli squadroni ma tifo te» qui è concetto profondo, mica un coro “così, tanto per…” come quelle canzoncine spagnole di cui s’imparano a memoria le parole senza capirne il significato, solo perché fanno muovere un po’ il sedere a ritmi di tendenza.
Spiegateglielo voi che prima di prendere un qualsiasi impegno qui s’aspetta che esca il calendario di calcio e lo si affigge accanto a quello dei Santi, e poi tocca attendere che si decidano anticipi e posticipi, ché sennò le agende rischiando di diventar cartastraccia, con buona pace di chi ti darà del «poco serio» per un appuntamento mandato a “buonedonne”.
Spiegateglielo voi che, assieme ai giocattoli, ai bambini che nascono da queste parti si regalano magliette e cappellini con l’ippocampo, ché «poi papà te lo spiega il significato», però intanto s’indossano inconsapevolmente, per una foto da mostrar con fierezza una volta diventati grandi.
Spiegateglielo voi che sulle targhe dell’auto, se non c’è la sigla “SA”, ci va il logo del cavalluccio marino, perché l’appartenenza è qualcosa che s’ostenta con orgoglio, soprattutto lontano da casa.
Spiegateglielo voi che prima di partire, qualsiasi sia la meta o la ragione del viaggio, la prima cosa che si mette in valigia è almeno una maglietta che testimoni la propria fede calcistica, perché è come portarsi dietro sempre, ovunque, un pezzo di sé. Poi, a seguire, avanti con mutande, calzini e tutto il resto.
Spiegateglielo voi che quando si va nelle Capitali del Mondo si obbligano i compagni di viaggio alle (inutili) visite negli stadi vuoti, tristemente aperti a mo’ di musei senza opere d’arte, soltanto perché bisogna attaccare un adesivo su quelle ringhiere che raccontano blasone, e farsi fotografare su quegli spalti rigorosamente vestiti di granata, anche se sai (o meglio, temi) che lì la Salernitana non arriverà mai a giocarci da protagonista.
Spiegateglielo voi che quando ci si presenta in giro per l’Italia (e spesso non solo) a quel «sono di Salerno», dall’interlocutore, non fa seguito un riferimento alla celebre Scuola Medica più antica dell’Occidente, né alle decantate Luci che da un decennio hanno fatto scoprire il turismo d’inverno a una città di mare che invece dovrebbe esser vissuta soprattutto d’estate. Nulla di tutto ciò. Perché, in ogni dove del Belpaese, Salerno è prima di tutto la Salernitana, è la Curva Sud che vien giù a ogni gol come solo in Sudamerica, è la smisurata passione per una squadra che conoscono tutti anche se non ha mai vinto niente.
Spiegateglielo voi che qui si respira Salernitana per 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno, dal caffè del mattino all’ultima chiacchierata sul pianerottolo a tarda sera prima di chiudere la porta a doppia mandata, perché è l’unica materia capace di metter tutti sullo stesso piano: un ricco e un disperato, un nobiluomo e un “ragazzo della strada”, un nonnino e un bambino.
Spiegateglielo voi che qui c’è gente che nella vita s’è fatto apprezzare e voler bene da tutti, però poi per “colpa” del cieco amore granata s’è trovato nei peggiori “casini” e ha dovuto risponderne a genitori, mogli, figli, amici, parenti e persino giudici.
Spiegateglielo voi che negli anni Novanta qui Roby Baggio era una bellissima figurina con il codino nascosto, però il “ricciolo” che faceva impazzire era quello di bomber Giovanni Pisano.
Spiegateglielo voi che qui il giorno della partita non si vuole né può sentire nessuno che non sia chi condivide lo stesso “viziaccio”, e che dopo una sconfitta, quando s’è costretti a riprendere gli “altri” rapporti sociali, si dice ch’è «tutto a posto» mentendo e sapendo di mentire, mentre dopo una vittoria si sorride e si scherza come gli idioti anche se attorno nessuno ne ha voglia (ma tu sì).
Spiegateglielo voi che c’è chi, qualche mese dopo le nozze, ha coperto la foto-poster del matrimonio con lo “Smile” della scenografia della Curva Sud, e che quando la moglie gli ha chiesto «perché» gli ha risposto ch’era «il posto più bello della camera» (non a caso).
Spiegateglielo voi che qui il cavalluccio marino ce lo si incide sulla pelle, o comunque lo si porta idealmente tatuato sul cuore, con un inchiostro indelebile, pur nella serena consapevolezza che nel destino di questa squadra e di chi la sostiene ci sarà più sofferenza che gloria.
Spiegateglielo voi che Lotito, Mezzaroma, Bollini, Rosina e via/via sono sì i protagonisti del momento, che dividono l’opinione pubblica, idoli o “demoni” a seconda dei risultati, ma in fondo restano passeggeri d’una nave di passione popolare che, abituata alla burrasca piuttosto che al mare piatto, batte queste acque da quasi un secolo.
Spiegateglielo voi che – per questi e molti altri motivi – il calcio non è uguale per tutti, e che a Salerno, città con la testa nel pallone per storia, presente e futuro, l’inizio d’un campionato è qualcosa che sfugge alla logica che ritrovi altrove dove ci s’infiamma (solo) se s’è fatto “un gran mercato” e invece ci si scioglie nel disincanto se non ci sono dichiarate ambizioni. Altrove, appunto. Non qui, dove il sacro fuoco del vecchio cuore granata arde da sé.
Alla fine di questo «grande romanzo popolare a puntate», a voler rubare una splendida definizione di Alfonso Gatto, la Salernitana sarà promossa in serie A, resterà in B o verrà retrocessa in C. La meta non la conosce nessuno (chi indovinerà il pronostico sarà più fortunato che intenditore), l’unica certezza è che quello che inizierà nel weekend sarà un altro bellissimo viaggio. Sabato arriverà presto. Buon campionato a tutti.