di FRANCESCO CACCIATORE*

Il Mediterraneo viene giustamente considerato la culla della civiltà occidentale. Luogo di incontro e scontro di culture, religioni, popoli e imperi, il Mediterraneo, per l’Italia, è anche il mare nostrum di romana memoria: più che una collocazione geografica, una vocazione, un’opportunità e una responsabilità non sempre sfruttata o accettata.

La responsabilità della nostra nazione nell’area mediterranea emerge guardando dal giusto punto di vista ad alcuni degli argomenti di discussione delle ultime settimane (e non solo): l’emergenza terrorismo, la crisi migratoria, il caso Regeni. Tutte hanno in comune l’efficacia, o meno, dell’azione italiana in zone attinenti al Mediterraneo, dal Medio Oriente al Nord Africa.

Troppo spesso l’Italia si è limitata ad essere soggetto passivo nelle grandi vicende in cui è stata recentemente coinvolta. Si è parlato molto, ad esempio, della sicurezza della nazione in termini di attentati terroristici. L’Italia viene vista come un baluardo difensivo, e a giusta ragione: gli apparati di sicurezza, dalle forze di polizia ai servizi segreti, formatisi nel corso di decenni di lotta al terrorismo (quello autoctono) e alla criminalità organizzata, garantiscono un’efficienza in termini di controllo e prevenzione che in Europa è senza pari.

Molto meno (quasi nulla, a dire il vero) si parla di ciò che l’Italia potrebbe fare attivamente per contrastare il terrorismo di matrice islamica. Da un lato, come si è già detto, gli apparati statali posseggono l’esperienza e la conoscenza necessarie. Non bisogna dimenticare che il Paese ha vissuto una stagione di terrorismo quasi ventennale, con l’aggravante del radicamento sociale e territoriale degli individui coinvolti – un punto in comune, quest’ultimo, con i più recenti attentati che hanno insanguinato l’Europa. A questo va sommata la secolare esperienza nella lotta alla criminalità organizzata; questa, seppur con differenze sostanziali, mantiene dei punti in comune, se non con i “cani sciolti” dell’ISIS, quantomeno con le organizzazioni terroristiche, mi si passi il termine, tradizionali. Controllo del territorio, profiling, sorveglianza, infiltrazione, sono tutti strumenti efficaci che gli apparati di sicurezza italiani hanno già adattato alla prevenzione del terrorismo islamico. Questo know-how potrebbe, e dovrebbe, essere trasmesso, insegnato ed esportato in altre nazioni, nella migliore tradizione del made in Italy, rendendo quindi il Paese un protagonista attivo nella lotta e prevenzione del terrorismo in tutto il continente. Un segnale positivo, a questo proposito, è dato dalla proposta che da tempo l’Italia ha avanzato per la creazione di una procura europea come strumento antiterrorismo.

Un secondo aspetto è quello costituito dall’intervento diretto nei territori “caldi” del Medio Oriente e dell’Africa. Anche qui l’Italia possiede una tradizione di successo. Senza contare l’esempio, spesso citato, della collaborazione istituita con il fu colonnello Gheddafi dal governo Berlusconi nel 2008, ci sono stati nel passato meno recente esempi a mio parere più significativi. Negli anni ottanta, il governo italiano era capace di trattare con, e fare leva su, un ampio spettro di interlocutori politici in Nord Africa e Medioriente. La crisi di Sigonella del 1985, ad esempio, richiese all’allora governo Craxi di relazionarsi e fare pressione su Egitto, Siria e l’OLP (oltre a dover gestire l’interferenza degli Stati Uniti). La risoluzione della crisi fu uno dei punti più alti dell’era Craxiana, ma non si spiega soltanto con la diversa levatura dei personaggi politici coinvolti, bensì con un governo forte in patria e credibile all’estero, quindi capace di proporsi come policy maker in zone geopolitiche delicate.

Va segnalato che recentemente l’esecutivo ha riscosso successi notevoli, passati in qualche modo in sordina. Prima l’incontro del ministro dell’Interno Marco Minniti con i “tredici sindaci” del Sud della Libia, con la proposta di un patto antitrafficanti, ha portato a maggiori controlli di frontiera in quella zona del Paese. Poi, è di pochi giorni fa la notizia che il numero di sbarchi di migranti sulle coste italiane nel mese di agosto è diminuito del 72% rispetto all’anno scorso. Merito anche della guardia costiera libica, che ha ricevuto e continuerà a ricevere addestramento e mezzi moderni dall’Italia.

L’Italia, dunque, dimostra di poter dare il suo contributo alla risoluzione dei problemi che, partendo dall’area mediterranea, interessano l’Europa tutta, ma molto deve ancora essere fatto in tal senso. Più della crisi dei migranti, a mettere in luce la necessità di un ripensamento significativo della nostra politica estera è stato il caso di Giulio Regeni, tornato in auge a Ferragosto dopo l’inchiesta pubblicata dal New York Times. Molto più delle presunte informazioni consegnate all’Italia dalla CIA (informazioni, come la responsabilità degli apparati di sicurezza egiziani nell’omicidio, già possedute e rese pubbliche da tempo), a fare notizia è il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, dopo oltre un anno. Decisiva è stata l’apertura del Presidente Trump verso il premier egiziano Al Sisi, che ha fatto uscire l’Egitto dall’isolamento diplomatico voluto dall’amministrazione Obama. Inoltre, per la prima volta dai tempi di Nasser, consiglieri militari di Mosca sono arrivati al Cairo, dimostrando così che il Paese sta cedendo al corteggiamento di Putin. Considerando che, il 24 agosto, Trump ha cambiato nuovamente linea sull’Egitto, annunciando il taglio di 96 milioni di dollari di aiuti e il congelamento di 195 milioni di fondi militari, bisogna chiedersi quanto sia saggio lasciare carta bianca ad interlocutori così imprevedibili in un’area vitale per gli interessi italiani.

È proprio questo interesse che andrebbe finalmente riconosciuto e perseguito con decisione. La posizione dell’Italia nel Mediterraneo non deve essere vista come una vulnerabilità, ma come un vantaggio strategico, recuperando quella che storicamente è stata la nostra dimensione privilegiata. Essere una testa di ponte verso alcune delle aree più problematiche al mondo può essere visto come uno svantaggio, certo, ma è pur vero che quei problemi non restano confinati né a quelle aree, né al Mediterraneo. Sarebbe, dunque, nell’interesse anche dei nostri partner europei che l’Italia assumesse un ruolo di primo piano nell’ area mediterranea, oltre a essere, per il nostro Paese, un’occasione per recuperare quel ruolo significativo sullo scacchiere internazionale che è stato nostra prerogativa fino a due decenni fa.

*storico, ricercatore, giornalista e scrittore freelance

 

“Occhio di riguardo”, a cura di Francesco Cacciatore, è una rubrica settimanale di approfondimento su temi di attualità e di cultura, con uno sguardo alla politica, alla società e all’economia.

 

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