di FRANCESCO CACCIATORE*

Nonostante l’immaginario collettivo veda nel Muro di Berlino – e quindi nella capitale tedesca – il simbolo della Guerra Fredda, il più lungo conflitto del XX secolo non fu combattuto in Europa, ma in Asia. I veri scontri armati che videro impegnati gli eserciti delle due superpotenze, infatti, furono quelli di Corea (1950-1953), del Vietnam (1965-1973) e l’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979-1989).

Oggi, di fronte alla pericolosa strategia del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, palesatasi nei vari test missilistici, l’ultimo dei quali ha sorvolato l’isola giapponese di Hokkaido, e alla luce del rapporto sempre più conflittuale tra Stati Uniti e Cina, pare che lo scenario di una Guerra Fredda combattuta in territori “periferici” (dal punto di vista eurocentrico) del mondo possa ripetersi, con l’aggiunta però di nuovi scenari: essenzialmente il ruolo della Cina, che già fu protagonista della Guerra di Corea, ma che oggi è un interlocutore obbligato per Occidente ed Oriente, sia dal punto di vista diplomatico che da quello militare.

Inoltre, la partita si giocherà non soltanto in Asia, ma anche in Africa. Il continente nero, infatti, è già teatro di uno scontro – fatto di investimenti economici – fra la Cina e l’Europa. Quest’ultima ha però un interesse che va oltre il mero profitto: favorire la crescita economica africana serve soprattutto a placare i flussi migratori che stanno portando scompiglio nel vecchio continente.

Tornando alla Corea del Nord, gli scenari sono molteplici. Prima di tutto gli Stati Uniti non possono ignorare la minaccia posta dal gioco d’azzardo di Kim; non possono cioè, liquidarlo come “dittatore della repubblica delle banane”, e non solo per lo spettro del programma atomico nordcoreano, ma anche per ragioni di responsabilità storica. Furono gli Stati Uniti, infatti, a gestire la riorganizzazione dell’area del Pacifico dopo la Seconda Guerra Mondiale. Diversi modelli di occupazione e di sviluppo furono utilizzati in Giappone e Corea, e con risultati ben diversi, che si palesarono nel conflitto del 1950-1953, e visibili ancora oggi.

Poi, il ruolo della Russia di Putin. Durante la Guerra di Corea, Stalin preferì lasciare all’ alleato cinese l’onere di aiutare i nordcoreani: scelta saggia, che privava l’URSS di qualsiasi responsabilità nel conflitto. Oggi, le relazioni tra America e Russia sono più tese che mai: lo scorso 31 agosto il Dipartimento di Stato americano ha intimato a Mosca di chiudere il consolato di San Francisco e due uffici a Washington e New York. La mossa, a sua volta, è la reazione all’imposizione giunta dal Cremlino a fine luglio, che il personale consolare USA in Russia venisse decurtato di 755 membri.

Manifestazioni della nuova guerra fredda, che include l’interferenza russa nelle ultime elezioni americane, un presidente USA accusato di impeachment per collusioni con Mosca, e il lavoro instancabile della disinformatja russa su internet, tra siti di fake news, trolls e bots.

A questo bisogna aggiungere l’eventualità che gli Stati Uniti, di fronte alla minaccia di Kim decidano di dispiegare nuovamente nel territorio dell’alleata Corea del Sud l’atomica tattica, rimossa nel 1991 da George Bush. Un’eventualità, discussa secondo i media coreani dai ministri della difesa delle due nazioni, che farebbe infuriare non solo la Russia, ma anche la Cina.

È chiaro che la chiave di volta nella vicenda coreana sarà proprio il ruolo che la tigre cinese deciderà di svolgere. Alcune indiscrezioni hanno rivelato che, tra i rottami dei razzi nordcoreani recuperati nel Mar del Giappone, siano stati trovati anche materiali di produzione cinese. D’altronde non è un segreto che il regime di Pyongyang è sempre stato usato da Pechino come uno spauracchio, un cane da guardia la cui catena veniva allentata o stretta a piacimento. Viste le recenti provocazioni, però, è lecito domandarsi fino a che punto il cane abbia voglia di obbedire al padrone. La Cina, in seguito alle dimostrazioni di forza compiute da americani e sudcoreani durante le esercitazioni militari congiunte conclusesi il 31 agosto, ha avvertito: le soluzioni militari non sono un’opzione.

Resta da chiedersi quale sarà per l’Europa il ruolo da giocare in questa partita. Sebbene gli eventi coreani possano sembrare distanti, come dice il detto, “la Cina è vicina”, forse anche troppo. Dalla fine del secolo scorso, l’Africa è stata oggetto di una vera e propria colonizzazione da parte della Cina, con scambi commerciali decuplicati negli ultimi quindici anni. Oltre ad un enorme serbatoio di beni e materie prime (valore di 200 miliardi di dollari stimato dal 2014 a oggi), il continente africano costituisce uno sfogo per la forza lavoro cinese, che lì viene impiegata massicciamente.

Diventa palese dunque, che gli investimenti cinesi non portino a un vero sviluppo economico e sociale della regione africana, che è invece quanto interessa fare all’Europa, per porre un freno ai flussi migratori. Il Piano di investimenti esterni, fondo creato negli ultimi mesi, ha una prospettiva a lungo termine per creare occupazione nei paesi di origine dei migranti. Finora sono stati messi a disposizione quattro miliardi, ma la Commissione europea ha già chiesto ai governi di raddoppiare questa cifra.

I numeri restano risibili se paragonati agli investimenti cinesi, ma resta pur sempre il primo passo verso non solo una politica di attenzione e sviluppo verso l’Africa, ma anche di una politica estera europea più aggressiva e competitiva che, al tempo della nuova guerra fredda, potrebbe essere una necessità.

*storico, ricercatore, giornalista e scrittore freelance

“Occhio di riguardo”, a cura di Francesco Cacciatore, è una rubrica settimanale di approfondimento su temi di attualità e di cultura, con uno sguardo alla politica, alla società e all’economia.

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