di MARK GRECO
Alcuni giorni fa sono state collocate alcune barriere –“new jersey”– lungo i camminamenti principali di Salerno, Corso e Lungomare per citarne due, per evitare quanto successo a Nizza, Parigi e meno di un mese fa a Barcellona. Certo, nessuna delle due arterie può essere normalmente paragonata alla rambla ma nella imminente festività patronale di San Matteo e nei week-end delle Luci d’artista i numeri quantomeno si pareggiano.
Alla vista dei poco eleganti blocchi di cemento si è scatenato il dibattito, come nel resto della penisola, sull’opportunità di simili barriere architettoniche. Tale necessità viene sentita come inevitabile a ridosso di un attentato per smorzarsi via via col passare dei giorni, ma il quesito ancora si pone, a differenza di altri Stati, perché l’Italia a oggi non ha subito alcun tentativo di attacco da parte dei terroristi islamici. Sono in molti a chiedersi la ragione nonostante la mai sopita minaccia di piantare la bandiera nera del califfato a San Pietro.
Una delle risposte più comuni è che non saremo attaccati perché, grazie al flusso dei migranti, siamo una porta d’ingresso per i fanatici per cui al fine di evitare l’inasprimento dei controlli siamo stati “graziati”. Cosa succederà, dunque ora che grazie a alcune direttive, seppur tardive, il flusso si è ridotto dell’80% nel mese d’agosto? Lo Stato Islamico prenderà d’assalto a suon di attentati l’Italia?
Se il motivo fosse quello sopra descritto, non ci sarebbe dubbio che a breve si scatenerà una nuova stagione terroristica anche per noi. Dopo l’esperienza delle Brigate Rosse e le stragi di mafia, raramente abbiamo rivissuto in Italia quella stessa paura che oggi serpeggia nelle piazze europee più importanti. Prima di cedere alla paura, però, è opportuno soffermarsi proprio sulla nostra precedente esperienza, anni di piombo e stragi, per approfondire alcuni temi di rilievo. Sappiamo che le azioni dei brigatisti come dei mafiosi avevano l’obiettivo di destabilizzare lo Stato, vuoi per dare il via alla rivoluzione comunista o per abrogare il carcere duro, quindi a esser presi di mira erano quasi sempre servitori dello Stato nel pieno delle loro funzioni. Nulla di tutto ciò sta avvenendo in Europa.
A sentire i media è la paura l’obiettivo degli attentatori, e tramite questa far si che le popolazioni facciano pressione sui Governi “costringendo” gli stessi ad allentare la pressione esercitata dagli eserciti europei sullo Stato islamico. È questo dunque il reale obiettivo del Califfato?
Per rispondere, consideriamo alcuni aspetti dello scenario.
L’Isis sta perdendo la guerra. Su questo non c’è alcun dubbio. Fin quando si è trattato di scontrarsi con l’esercito regolare iracheno e sottrarre territori alla Siria nel pieno della sua guerra civile, sono bastati sia i petroldollari dei finanziatori Arabi che le jeep modificate dai miliziani .
Se vi siete chiesti per quale motivo il Califfato non abbia mai attaccato Israele, il nemico giurato di tutti i musulmani, sciiti o sunniti che siano, nonostante sia praticamente confinante con i suoi territori, la risposta è molto semplice: Israele ha un esercito che spazzerebbe via il califfato in meno di sei giorni. È bastato il supporto aereo di alcune nazioni occidentali alle truppe curde e siriane, oltre all’intervento dei pasdaran iraniani e hezbollah libanesi per riprendere territorio dall’Isis.
Sono poche le truppe a terra in ausilio per due motivi: se da un lato la coalizione occidentale evita di avere vittime di cui dar conto all’opinione pubblica, dall’altro, alla fine – scontata – di questa guerra si dovrà trovare un nuovo assetto geopolitico tra siriani pro e contro Assad, curdi iracheni e iraniani. Non riuscendo ad accordarsi prima USA, Russia e Turchia, è meglio rimandare il problema a quando la guerra sarà conclusa e i combattenti saranno spossati e costretti a venire a patti l’uno con l’altro. Questo è ben chiaro anche al Califfo al-Baghdadi, o a chi lo sostituisce se son vere le notizie sulla sua morte, e ai suoi finanziatori. Per cui l’idea che gli attentai siano organizzati allo scopo di alleggerire l’intervento militare occidentale non regge, anche perché alcuni di questi sono avvenuti in nazioni che non partecipano attivamente alla guerra.
Si è detto inoltre che la pressione sui governi dovrebbe nascere dalla paura dei cittadini a seguito delle innumerevoli stragi. Ma possiamo effettivamente usare il termine strage per quanto sta avvenendo?
É allora il caso di fare la conta dei morti causati dagli estremisti: dal 2010 ad oggi i vari attentati di matrice islamica, quindi considerando non solo quelli dell’Isis ma anche al Qaeda, arriva a circa 320 vittime che ripartiti su sette anni fanno circa 3 vittime al mese su una popolazione di circa 740 milioni di individui. In poco più di vent’anni il morbo della mucca pazza ha mietuto 207 vittime. non siamo vicinissimi ma le mucche non saltavano in aria per cui il lavoro era più difficile.
Il Califfato non ha a disposizione, come abbiamo visto, tempi lunghi, per cui avrebbe più senso prendere i miliziani che hanno combattuto in medio oriente e spedirli in Europa. Sono avvezzi alla guerra e a uccidere e sono già musulmani di indubbia fede. Sarebbero più veloci e tremendamente efficaci. Invece, ne inviano pochissimi, a supporto di qualche imam esagitato, per radicalizzare giovani delinquentelli disadattati con l’enorme rischio di spendere mesi a istruirli per poi vederli fallire.
Hanno sbagliato tutto? Probabile, se le intenzioni erano quelle.
Meno probabile se ragioniamo in modo diverso. Partiamo allora dal risultato raggiunto: diffidenza nei musulmani. Diffidenza che in spesso sfocia in odio manifesto. E questo genera paura le cui conseguenze saranno subite dai musulmani in Europa, non in Medio Oriente.
Così facendo, è aumentata a dismisura la pressione sui 41,5 milioni di seguaci del profeta in Europa, il vero esercito sul quale potrà contare chi subentrerà all’esperimento dell’Isis, che perde una guerra anche perché non è riuscito a esercitare un forte appeal sulle comunità europee, se non limitatamente ai social network; i combattenti o aspiranti tali partiti per il califfato sono circa 4000, lo 0,009% della popolazione islamica europea, provenienti per lo più da Belgio e Francia Inghilterra dove sono presenti le comunità più numerose e più ghettizzate.
È più facile far presa su tali comunità per via di una convivenza già difficile, a differenza di quanto accade in Italia. Per quanto più di un esponente politico voglia far passare gli italiani per razzisti islamofobi, rimaniamo sempre una nazione accogliente dove le comunità sono più integrate rispetto ai paesi nordici, anche perché sono più esigue e più facilmente integrabili.
In Italia non ci sono stati attentati perché siamo ancora lontani dallo stato d’allerta e perché, grazie alla nostra decennale esperienza con terrorismo e crimine organizzato, i nostri apparati di sicurezza sono incredibilmente efficienti. Potremo ben sopportare un paio di barriere sul Corso.
*«Occhio di riguardo» è una rubrica settimanale di approfondimento su temi di attualità e di cultura, con uno sguardo alla politica, alla società e all’economia. Oggi è lieta d’ospitare la firma di Mark Greco.
Francesco Cacciatore tornerà invece a scrivere per “Macchie d’inkiostro” domani (domenica) con la nuova rubrica «Appuntamento con la Storia».