di STEFANO MASUCCI

Qualche rimpianto su quello che poteva essere quando rincorreva ancora un pallone ammette di averlo, ma è altrettanto onesto quando afferma di aver ricevuto solo quello che ha meritato. Ma dopo l’addio al calcio giocato, per Fabio Di Giacomo, uno dei simboli del calcio cittadino salernitano, è iniziata una nuova avventura. E il tempo dei rimpianti lascia già spazio a quello delle rinnovate ambizioni. Dopo una carriera che ha toccato l’apice con le casacche di Cavese e Rondinella, (oltre a un’esperienza in serie B belga), il passaggio, quasi per gioco, al calcio a 5. E l’avventura con l’Alma Salerno. Prima da calciatore, poi da vice allenatore, ora da tecnico (in coppia con Antonio Pannullo).

Ormai l’Alma Salerno rappresenta per lei una seconda famiglia, in tre anni ha già ricoperto tre ruoli diversi. Pronto per questa nuova avventura?

«Certo, la richiesta di diventare primo allenatore è arrivata un po’ a sorpresa, perché il precedente tecnico Mainenti per impegni extracalcistici è diventato direttore sportivo. Ma con lui ho un rapporto quotidiano, c’è un confronto comune. Allenare l’Alma significa per me stare in famiglia, molti dei ragazzi che ci sono ancora oggi erano miei compagni di squadra quando abbiamo vinto il campionato di C1. Non vedo l’ora di iniziare, confrontarsi con un campionato di Serie B, con giocatori affermati è qualcosa di unico».

Dopo la salvezza dello scorsa stagione, quest’anno si punta ad alzare l’asticella. Anche in quest’ottica sono arrivati ben quattro stranieri a rinforzare il gruppo storico.

«Sono acquisti importanti, a volte penso che potrei sentirmi persino in soggezione per quello che è il loro curriculum. C’è chi ha giocato in Serie A, chi i Mondiali con la propria nazionale. Su tutti penso ai fratelli Villalba (al momento uno solo è in Italia), oltre a Davì (brasiliano ex Napoli) e Galinanes che già lo scorso anno era con noi. Sono ragazzi straordinari, umili e professionali, si vede che alle spalle hanno un passato importante, certe volte sembrano dei robot. La loro esperienza e il loro carisma ci tornerà sicuramente utile. Tra un paio di settimane arriverà anche Cholo Salas, capitano del Paraguay».

Che obiettivi si pone l’Alma Salerno?

«Il livello di tutto il campionato si è alzato, anche le altre si sono rinforzate con colpi importanti. Nel nostro girone ci saranno sei campane, due lucane e tre pugliesi. Le campane sono sulla carta le più forti, mentre la squadra da battere è il Sant’Abate (Pratola Serre), che affronteremo all’esordio in campionato il 7 ottobre tra le mura amiche. Noi puntiamo a giocarcela con loro, quantomeno a raggiungere i playoff. Sarebbe già un gran risultato».

Una vita quasi passata in un campo di calcio a undici, poi il passaggio al Calcio a 5. Da addetto ai lavori, che differenze si notano in prima battuta?

«Il calcio a 5 da qualche anno in Italia è diventato un supporto al calcio a 11, non si fa altro che riportare in dimensioni più piccole quello che si fa in un campo regolamentare. Anche i bambini sarebbe più adatto, almeno inizialmente, è richiesta maggiore velocità decisionale, ci sono più contatti, più tiri in porta, più dribbling. Sono le basi che poi si riportano nel campo “grande”. Il resto viene dopo».

Per lei adesso al primo posto c’è il futsal…

«Non è una cosa che avevo preso in considerazione, almeno all’inizio. Ma il calcio a undici ormai è diventato Serie A e Serie B. Già a partire dalla Lega Pro, ci sono troppi fattori come sponsor, soldi, che mi hanno fatto allontanare. Sono sincero, preferivo allenare i bambini, provare a insegnare loro tutto ciò che so sul calcio. Mi piace lavorare per far crescere, poi è arrivata la chiamata e sono rimasto sbalordito. L’ammetto, non ho saputo dire di no».

Di Giacomo però resta un simbolo del calcio amatoriale in città. Anche nei tornei più sentiti, non passa mai inosservato.

«Un simbolo del calcio cittadino? Non scherziamo. Certo, quando i più giovani, che hanno iniziato quando io ero negli ultimi anni di carriera, parlano bene di me, mi fanno rimanere di stucco. Fondamentalmente non sono nessuno, ma l’affetto della gente fa sempre piacere. Vuol dire che ho lasciato un bel ricordo, dentro e fuori dal campo».

Le soddisfazioni non sono mancate, ma qualche rimpianto l’avrà pure…

«Qualche rimpianto c’è sempre, ma dico che ho avuto quello che mi sono meritato. Se ho raggiunto solo certe categorie è perché quello è stato il mio livello. Ovvio che qualche episodio ti rimane dentro. Ne racconto uno. Sono stato a Rondinella in C2, la società era affiliata con il Brescia e con la Fiorentina. Purtroppo un incidente con il motorino mi ha comportato la rottura del metatarso. Serviva un attaccante, per cui decido di togliere il gesso e raggiungere la squadra. Durante il primo allenamento, in un contrasto aereo sono caduto con il braccio a terra. Ritorno a Salerno con una frattura scomposta».

Che sia sulla sabbia dell’Arenile Santa Teresa, su un campo a undici a insegnare qualcosa ai ragazzini (collabora anche con la scuola calcio di Luca e Vincenzo Fusco), o su un parquet con un pallone col rimbalzo controllato, “inseguendo quella palla ha scoperto la felicità”. Fabio Di Giacomo questa frase l’ha tatuata sulla propria pelle…

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