di DARIO CIOFFI
In principio fu un disegno del professor D’Alma. Sì, sempre lui. Lo stesso che un giorno, sulla spiaggia di Santa Teresa, trovò ispirazione artistica vedendo in acqua un cavalluccio marino, e tratteggiò su carta quello che sarebbe poi diventato “simbolo eterno” della Salernitana del calcio. Qualche anno dopo, invece, il maestro lavorò per i tifosi. «Vorremmo una pantera. Ci chiameremo Panthers», gli dissero i ragazzi d’allora. E furono accontentati.
Correva l’anno del Signore 1977. L’11 settembre a Salerno nacque un gruppo-pioniere per la storia del tifo granata. Il “parto” fu l’unione delle forze degli Ultras Bar Nettuno (che avevano “debuttato” il 21 settembre del 1975, in Salernitana-Reggina 2-1) e gli Ultras Real del quartiere Torrione, già avvicinatisi nella sigla comune Ultras Real Nettuno. Il tempo dei Panthers cominciò all’alba d’una delle tante stagioni di tormenti per la “signora” dello stadio Vestuti.
«Erano gli anni d’un calcio diverso e d’un via-vai di presidenti che a Salerno faceva vivere nella perenne sofferenza. Il destino della nostra squadra galleggiava a fatica in mare d’improvvisazione e incertezze, che le leggi dell’epoca consentivano e non punivano», il ricordo di Adolfo Gravagnuolo, uno dei 30 soci-fondatori d’un gruppo che fu qualcosa più d’un insieme d’appassionati e supporters che ogni domenica provavano a esser il “dodicesimo in campo”.
«Il periodo dei Panthers cambiò l’atteggiamento della tifoseria verso la Salernitana. Non eravamo soltanto i sostenitori sugli spalti, stavamo sulle barricate per difendere la maglia granata anche lontano dai campi. Avvertivamo la responsabilità di dover “tutelare” una società spesso in mani sbagliate, eravamo i “baluardi” della nostra stessa storia, andavamo all’Albergo Garibaldi per vedere se i calciatori, troppe volte lasciati senza stipendi, avessero bisogno di qualcosa. In questa di mobilitazione costante avemmo un appoggio importante anche dal sindaco Clarizia», continua Gravagnuolo in un viaggio nel passato che i “ragazzi del ‘77” avranno ripercorso di recente, tutt’insieme.
L’altra sera, infatti, nel giorno del 40esimo anniversario dalla fondazione dei Panthers, 23 “pionieri” si sono ritrovati a cena per celebrare quell’11 settembre. Hanno indossato magliette rievocative, raccolto le “giustifiche” degli assenti (sarebbero dovuti esser in 27 dei 30 totali, perché tre sono deceduti) e accolto come unico “non fondatore” Gigino Di Giaimo, che con la Salernitana giocò nel 1980, l’anno della tragedia del terremoto. A tavola hanno rispolverato aneddoti ed emozioni di quel periodo indimenticabile, dalla prima pantera di D’Alma a quelle successive disegnate dal pittore Franco Ferrigno, dalle promozioni sognate alle retrocessioni “scampate”, dall’entusiasmo della vita di Curva alla paura che da un giorno all’altro il club granata potesse scomparire.
Memoria viva d’un’esperienza durata sei anni, prima del “passaggio” di molti componenti dei Panthers nella Granata South Force. E però un’avventura collettiva rimasta scolpita nel tempo, frenetica, appassionata e poi tramandata alle generazioni future, tale da diventar parte integrante della Salernitana, della sua storia. Perché “è la gente che fa la storia”…