di FRANCESCO CACCIATORE*

Ultimi giorni di maggio, 1940. Dopo un primo periodo di calma apparente durato otto mesi, seguito alla conquista della Polonia da parte di Germania e Unione Sovietica, nel quale non si svolse nessuna azione militare di rilievo, la guerra con gli Alleati (Francia, Inghilterra e Belgio) si accende all’improvviso. Il Gruppo d’armate B della Wehrmacht invade i Paesi Bassi e comincia ad avanzare verso la Francia ad ovest. Le forze francesi, supportate dalla British Expeditionary Force (BEF) si muovono verso il Belgio per incontrare il nemico, forti della poderosa linea di fortificazioni al confine franco-tedesco, la linea Maginot, costruita dopo la Prima Guerra Mondiale. La strategia alleata, però, si rivela inefficace: il Gruppo d’armate A tedesco supera inaspettatamente la foresta delle Ardenne e fiancheggia gli Alleati, intrappolando la BEF e la Prima Armata francese in uno stretto corridoio di terra sulla Manica, nei pressi di Dunkirk, tagliando fuori il grosso delle forze francesi. Circa 400,000 soldati rischiano di doversi arrendere, o peggio, mettendo così la parola fine allo sforzo militare britannico, e probabilmente al conflitto tutto (la Francia, da sola, resisterà per appena due settimane prima di essere completamente sottomessa dalla Germania).

Come si giunse a una tale disfatta? L’Inghilterra poteva vantare l’Impero più vasto della storia, la Francia l’esercito più grande. Entrambe erano tra le vincitrici della Prima Guerra Mondiale e avevano imposto pesanti sanzioni economiche e militari alla Germania, eppure allo scoppio del conflitto la Wehrmacht di Hitler poteva vantare una schiacciante superiorità dal punto di vista strategico e tecnologico. Le divisioni corazzate e il supporto dell’aeronautica permisero alla Germania di imporre un nuovo stile di guerra, basato sulla mobilità e la rapidità, che travolse i mal preparati eserciti alleati, ancora ancorati a una concezione della guerra “di posizione” (ne è prova l’eccessiva confidenza dei francesi nella linea Maginot). Colpa della difficile situazione economica di Francia e Inghilterra, costrette – anche da decisioni politiche – a tagliare le spese militari negli anni trenta, proprio mentre la Germania attuava un efficacissimo programma di riarmo, in spregio delle sanzioni.

La vicenda di Dunkirk, tra le più famose del secondo conflitto mondiale, è stata di recente ripresa per il grande schermo dal regista anglo-americano Christopher Nolan, che ha realizzato un film apprezzato sia dalla critica che dal grande pubblico. La tempestiva evacuazione delle truppe dalla spiaggia di Dunkirk, magistralmente rappresentata nel film, permise all’Inghilterra di restare parte attiva nel conflitto, seppur assediata nei confini della propria isola (con l’eccezione del fronte Nordafricano) e lasciando carta bianca alla Germania nazista che, nel luglio del 1940, aveva effettivamente conquistato tutta l’Europa continentale. Quello che non viene menzionato nel film è la decisione, presa dai tedeschi, di fermare l’avanzata delle loro armate e di attaccare gli alleati a Dunkirk usando solo l’aviazione. Questa scelta, a lungo dibattuta dagli storici, fornì effettivamente il tempo per l’evacuazione delle truppe, e potrebbe costituire il singolo errore più grave commesso dall’ Alto Comando tedesco durante la guerra.

La vittoria britannica nella battaglia d’Inghilterra, però, significò che il conflitto, in effetti, non era finito, e forniva agli Stati Uniti, non belligeranti fino all’attacco a Pearl Harbor nel Natale del 1941, una testa di ponte fondamentale per un futuro intervento in Europa. L’elemento fondante di questa vera e propria “resistenza” britannica fu lo “spirito di Dunkirk”, il miracolo di propaganda di Winston Churchill, che trasformò un disastro militare in un’occasione per rafforzare il morale di tutta la nazione; i soldati tornati (o meglio fuggiti) in patria furono accolti come eroi, e assorti a simbolo dello spirito britannico, che non si sarebbe piegato di fronte alla barbarie nazista. Questo passaggio viene rappresentato molto bene proprio nelle ultime scene del film di Nolan, accompagnate dalle parole del famoso discorso di Churchill: “Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui campi di atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline (…) finché, a Dio piacendo, il Nuovo Mondo, con tutta la sua forza e il suo potere, si muoverà per la salvezza e la liberazione del Vecchio.” Ci vollero altri diciotto mesi e l’attacco giapponese a Pearl Harbor per convincere il Nuovo Mondo, e il Presidente Roosevelt, a muoversi, ma molti storici concordano che il contributo fondamentale dell’Inghilterra alla guerra fu proprio di mantenere aperto il conflitto in quel periodo cruciale.

Dunkirk, dunque, potrebbe essere vista come il punto di nascita di un certo “spirito europeo”: va ricordato che, dopo aver finito di evacuare le truppe inglesi il tre giugno, Churchill insistette per far tornare le navi della Marina il giorno successivo, per imbarcare oltre 26.000 soldati della retroguardia francese. Potrebbe però anche essere vero il contrario. Altri 40.000 soldati francesi furono lasciati indietro, e finirono nei campi di prigionia tedeschi. La Francia dovette subire quattro anni di occupazione nazista prima che gli Inglesi, seguendo gli Americani, tornassero sulle spiagge francesi con lo sbarco in Normandia. A questo proposito, va anche sottolineato che Churchill era contrario ad aprire un fronte di guerra in Francia, premendo invece su Roosevelt per attaccare i Balcani, zona nella sfera d’interesse britannico. Lecito pensare che queste decisioni abbiano avuto delle serie conseguenze nei rapporti futuri tra i due Paesi. Infine, l’appello quasi disperato di Churchill alla forza del Nuovo Mondo annuncia quella che sarà la realtà del dopoguerra: l’eclissarsi delle nazioni europee dallo scacchiere internazionale, con il continente ridotto a mero terreno di scontro tra le due superpotenze, USA e URSS.

Come interpretare, dunque, Dunkirk, alla luce delle recenti tensioni nazionaliste e separatiste che attraversano l’Unione? Sicuramente il film di Nolan vuole trasmettere un messaggio positivo, sottolineando l’importanza dello “spirito di Dunkirk” per il futuro del continente, e del mondo. Non bisogna però dimenticare l’amara lezione appresa in quei giorni sulle coste francesi, e ribadita nei lunghi anni della guerra fredda: il tempo degli imperi e delle grandi potenze europee è finito. Per usare di nuovo le parole di Churchill: “Dovunque, in ogni epoca, in ogni area non importa quanto grande, in qualunque gruppo di persone non importa quanto diverse, l’unione ha creato forza e prosperità per chiunque incluso in quel cerchio. Perché mai l’Europa dovrebbe temere l’unione?”.

*storico, ricercatore, giornalista e scrittore freelance

“Appuntamento con la Storia”, a cura di Francesco Cacciatore, è una rubrica che porta alla vostra attenzione le ricorrenze storiche più significative.

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