di DARIO CIOFFI

Niente di personale, mister: è che a dirla con le parole di don Pietro Savastano, il boss di “Gomorra La Serie” mentre freddava l’emergente Gabriele detto «‘o principe», da qualche parte si deve cominciare. E siccome all’alba d’un Salernitana-Pescara, ch’è match dal passato ricchissimo d’aneddoti e personaggi incrociati, c’è solo l’imbarazzo della scelta, allora tanto vale iniziare da Alberto Bollini.

Scomodatelo pure, stavolta, il destino che porta il tecnico granata a giocarsi un pezzo di futuro contro Zdenek Zeman. Sì, proprio con lui, il signore (pardon, il maestro) del 4-3-3, quello “vero”, originale e sostanzialmente inimitabile nello spettacolo e anche nelle falle. E’ il sistema di gioco che piace tanto pure al trainer Poggio Rusco, solo che dalla società – mica tanto implicitamente – gli hanno detto di cambiarlo, ché non esalterebbe le qualità dei suoi calciatori. Bollini, l’aziendalista che fa di testa sua, se n’è sostanzialmente “fregato”, perché le scelte le fa da solo e neppure patron Lotito, di cui è “fedelissimo” per etichetta e trascorsi, riesce a influenzarlo. Il responso dei 90 minuti dirà se è stato coraggioso o sciagurato.

Il resto della scena, all’Arechi, se la prenderà Zeman, uno che a 70 anni per il calcio italiano è ancora una certezza: di spettacolo, di personalità, di polemiche che innesca tra chi lo ama e chi lo odia. Nello stadio con il nome da principe torna da ex, il boemo. Nell’estate del 2001 l’allora sindaco Mario De Biase (si) vide invadere il Comune tale era l’entusiasmo per la presentazione del tecnico artefice del miracolo Foggia. «Zemàn, Zemàn», cantavano i tifosi, con l’accento rigorosamente sulla seconda “a”, «noi c’abbiamo il boemo che ci porta in serie A». Non ci arrivò, il maestro di Praga, nonostante un campionato a tratti avvincente, tra il 4-4 col Cittadella e il 3-1 al Napoli, con di mezzo il pari proprio nel derby d’andata al San Paolo passato alla storia per il gol di Lazzaro al 94′. Divertiva quella Salernitana, in cui onesti “gregari” come Bellotto, Vignaroli e Arcadio s’inventavano giocate estemporanee da impazzire, manco fossero i Rambaudi, Baiano e Signori della belle époque di “zemanlandia”.

I sogni di promozione, comunque, sfumarono sul più bello, lasciando il posto all’incubo che nel torneo seguente avrebbe portato all’ultimo posto in classifica, alla definitiva rottura con patron Aliberti e all’esonero del ceco a metà del cammino per provare a scongiurare una retrocessione già scritta (ed evitata solo per l’allargamento della serie B da 20 a 24 squadre, quando avvocati e giudici dei Tar valevano più dei bomber).

«A Salerno c’è un grande pubblico ma non so come mi accoglierà», ha detto Zeman nella conferenza stampa della vigilia. Chissà. Se sedesse su un’altra panchina, probabilmente le quote sarebbero: 34% applausi, 33% fischi e 33% indifferenza. Però allena il Pescara. E si sa, adriatici e granata non si sono mai amati. Eufemismo, per non dir altro. Va così dalla notte dei tempi. Rivalità antica, infiammatasi nella seconda metà degli anni Novanta – tra le botte dell’Adriatico nel ’96 (la foto è proprio di quel giorno) e il “tradimento” agli abruzzesi di Delio Rossi – tanto da suggerire alle autorità di pubblica sicurezza d’appiccicare sulla partita il bollino rosso.

Ce n’è un po’ per tutti, insomma. E varrà la pena goderselo, questo Salernitana-Pescara. Se vi propongono la passeggiata del sabato pomeriggio, dite che «se ne parla dopo le sei». Traffico incluso. Ché nelle partite delle squadre di Zeman è assai rischioso il «semmai me n’esco cinque minuti prima…».

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