di DARIO CIOFFI
Come il Marlon Brando di Ligabue, Zdenek Zeman «è sempre lui». Solo una sua squadra a sei minuti dalla fine, avanti 2-1, attacca ancora in cinque contro tre e può rischiare di non vincere una partita che pareva aver già detto tutto. A esser ancora più espliciti, sotto di due reti, la Salernitana era bella che finita. Però il pallone a volte prende direzioni strane, e quando di mezzo c’è il boemo l’imprevedibilità diventa norma, così che anche la stanca e spaesata formazione di Alberto Bollini, graziata da un Pescara incapace di segnare il terzo gol pur slalomeggiando tra i birilli, ha trovato tempo e modo per rialzarsi.
Il 2-2 che n’è venuto fuori è stato il risultato d’una gara più nevrotica che divertente, al tramonto della quale ai granata mancherebbe persino un rigore (del possibile sorpasso), perché il fallo subito in pieno recupero da Vitale era appena dentro l’area e non al limite. Dettagli, nel complesso d’un pomeriggio che alla Salernitana poteva andar assai peggio.
L’allenatore c’ha messo del suo, e patron Lotito, (auto)inviatosi in “missione” all’Arechi – ipse dixit dopo il novantesimo – «per vedere finalmente dal vivo questa squadra e capirne le potenzialità», non ha mancato di sottolinearlo. Ha lamentato «calciatori fuori ruolo», il “magno” Claudio, che a Bollini è legato da affetto antico e stima sincera, però che pretende molto di più perché convinto – sempre per quanto detto a fine gara – «che quest’organico vale molto più d’una salvezza». Insomma, a pensar che vada tutto bene ci vuole un bel po’ di coraggio.
Dopo quattro giornate il cavalluccio marino ha tre punti, figli d’altrettanti pareggi. Non conosce ancora la vittoria né di fatto l’ha seriamente sfiorata (mai in vantaggio), ma soprattutto dà l’impressione d’aver pochissimi punti fermi e un’idea di gioco troppo debole, quasi impalpabile. Contro il Pescara si son visti evidenti passi indietro rispetto alle settimane precedenti, e se non fosse stato per “l’allegria” degli abruzzesi, capaci di farsi squagliare tra le mani un risultato ormai di ghiaccio, i granata non avrebbero neppure trovato la forza d’una reazione di cui ovviamente gli va poi riconosciuto il merito.
Il problema è che non basta. L’orgoglio, le fiammate e i pari in rimonta possono nascondere solo in parte limiti e affanni d’una squadra sì viva, e però ancora lontanissima da un’identità forte e sicura. Lotito sostiene sia «solo questione di tempo». Eppure, a (ri)sentirlo parlare di «moduli non definiti», «difensori disorientati se messi a fare gli attaccanti» e «gente ancora in ritardo di condizione», sembra il primo a lasciar intendere che la pazienza non sarà eterna. Anzi…
(foto CARLO GIACOMAZZA)