di FRANCESCO CACCIATORE*

A meno di sei mesi dalle prossime elezioni politiche, sia la maggioranza di governo che i principali partiti d’opposizione sono ormai entrati nel giro finale della corsa ai seggi, quello più importante. Lo scontro politico, tanto caro all’Italia e agli italiani, raggiungerà il culmine nella stagione autunno-inverno; è importante allora cercare di capire quale tra le formazioni politiche parta in vantaggio, e su quali terreni si svolgeranno gli scontri più sanguinosi.

Il Partito Democratico, in quanto forza di governo, dovrà principalmente rendere conto delle riforme, mancate e attuate, e dei progetti di legge che languiscono ancora in Parlamento. Gli ultimi mesi della legislatura saranno cruciali per capire quali iniziative verranno “spinte” verso l’approvazione, sfidando il delicato equilibrio delle correnti politiche, e quali verranno sacrificate sull’altare del consenso. Lo Ius Soli, in questo senso, è un sacrificio preannunciato. Proposta politicamente scellerata ma ideologicamente coraggiosa, rinunciarvi porterà a un’erosione ulteriore del consenso per il partito, che in questo modo avrà perso voti sia a destra che a sinistra dello spettro politico. La proposta di legge Richetti, sull’abolizione dei vitalizi, è attualmente ferma al Senato, ma ha buone possibilità di essere approvata entro la fine della legislatura, visto che incontra il consenso (o meglio, la ricerca di esso) di quasi tutte le forze politiche. Sul piano della leadership, Matteo Renzi si trova a fare i conti con l’inaspettata popolarità di Gentiloni. Se questo aprirà una nuova partita all’interno del PD è ancora da vedere, quel che è certo è che il partito non ha bisogno di ulteriori spaccature, anzi. Ricucire il dissenso interno potrebbe essere la strategia pianificata per i prossimi mesi. Visto che si andrà a votare col proporzionale, non ci saranno coalizioni pre-voto: le alleanze si faranno dopo. A questo punto il rischio, e grosso, è che il “granitico” Movimento 5 Stelle possa umiliare il PD nelle percentuali.

Parlando dei pentastellati, il loro banco di prova pre-elettorale non può che essere quello degli enti locali da loro amministrati. Un banco, al momento, piuttosto povero. L’amministrazione di Livorno si trova attualmente sotto indagine per le morti e i danni causati dalle piogge torrenziali degli scorsi giorni; questo senza contare i commenti discutibili del sindaco Filippo Nogarin all’indomani della tragedia. A Roma, due anni di amministrazione pentastellata hanno portato scandali e più rimpasti del Consiglio comunale di quanto sia lecito ricordare, ma nulla o quasi è stato fatto per risolvere i gravi problemi della città – problemi sui quali si era basata la campagna elettorale di Virginia Raggi. Torino, finora l’ esempio più virtuoso di governo a cinque stelle, resta macchiata dalla tragedia di Piazza San Carlo dello scorso giugno. Non meglio vanno le cose a livello regionale. In Sicilia, il Tribunale ha bloccato le “regionarie” che avevano consacrato Giancarlo Cancellieri, accogliendo il ricorso di Mauro Giulivi, escluso dalle elezioni perché espulso dallo staff. Il recentissimo (15 settembre) annuncio di Beppe Grillo sulle regole per la scelta dei candidati premier promette di sollevare nuovi malumori all’interno del Movimento: Grillo si fa indietro come capo politico, carica che sarà rivestita dal candidato premier, e tutto sembra manovrato per far emergere come vincitore Luigi Di Maio. Una scelta politica saggia ma, secondo alcuni, lontana dai principi di democrazia dal basso che sono alla base del Movimento.

La strategia politica del centrodestra, invece, si trova inaspettatamente condizionata da due eventi giudiziari. Il primo è l’udienza del 22 novembre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che esaminerà, dopo tre anni e mezzo, il ricorso di Silvio Berlusconi contro la legge Severino, applicata retroattivamente nel suo caso. Un eventuale parere favorevole (e tempestivo) della Corte potrebbe riaprire per il Cavaliere molti scenari politici, mettendo in crisi l’equilibrio attuale. Il secondo è il sequestro di numerosi conti correnti della Lega Nord, dopo la condanna di Bossi e Belsito per la truffa sui rimborsi elettorali. Lungi dall’eliminare Salvini dallo scenario politico, questo non fa che riportare in auge il mai sopito giustizialismo, che getta la sua ombra su tutte le forze politiche in maniera trasversale. All’arrivo della notizia, infatti, immediato è arrivato anche un botta e risposta velenoso tra Salvini e Renzi, con Grillo che, nel frattempo, minacciava i “dinosauri” avversari di “estinzione”, sotto il “meteorite” del M5S.

Quello che è chiaro, insomma, è che la campagna elettorale sarà esattamente uguale alle precedenti: fatta di tensioni, risse e attacchi reciproci, volta ad alimentare il malessere già tanto diffuso nella popolazione, istigando ulteriormente gli estremismi, politici e non. Mancheranno, come sempre, proposte concrete per risolvere i mali endemici del Paese: disoccupazione giovanile, corruzione, criminalità organizzata. Totalmente assenti, poi, saranno indicazioni di politica estera, un tema che non interessa alla maggior parte degli elettori – e quindi ai politici. Personalmente, più che sentir parlare di tribunali, meteoriti e Rousseau, mi piacerebbe sentir nominare Giulio Regeni, Pyongyang, Trump e la Libia. Speranza vana.

*storico, ricercatore, giornalista e scrittore freelance

“Occhio di riguardo” è una rubrica settimanale di approfondimento su temi di attualità e di cultura, con uno sguardo alla politica, alla società e all’economia.

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