di ALESSANDRO MOSCA

In principio fu Maxim Tsigalko. Veniva dalla lontana e fredda Bielorussia il “wonderkids” che fece sognare generazioni di allenatori. Poi toccò a Baines, a Verratti, a Sergio Ramos, ad Alexis Sanchez, al 15enne Freddy Adu. Tante previsioni azzeccate, quasi a far sembrare che quei programmatori impegnati ogni anno a inserire centinaia di migliaia di dati in un cervellone elettronico fossero meglio di Ancellotti o Mourinho. Ma anche tante cantonate degne di nota che hanno fatto passare alla storia calciatori il cui segno sulla Terra non è riscontrabile altrove. Qualcuno avrà capito di cosa si parla alla lettura di quel cognome mitologico che anticipa il punto nell’incipit iniziale. Football Manager resta uno dei videogame più fortunati (e, opinione personale, uno dei più appassionati) che sia stato mai realizzato, tanto da far incollare vicino agli schermi dei pc milioni di persone, rendendo più felici notti insonni trascorse provando a vincere la Champions League con il Verona e la coppia d’attacco Mutu-Adailton.

Le tantissime edizioni del gioco manageriale, aggiornato e migliorato graficamente quanto basta per non restare troppo “indietro con i tempi”, hanno fatto rinnovare una tradizione. Perché è scontato che Messi o Cristiano Ronaldo – così come Shevchenko o Mancini in passato – sono dei top player. Nel mare magnum di atleti presenti nel videogame, ogni anno spunta dal nulla qualche giovane prodigio, capace ancora in età da under di diventare, che ne so, capitano della nazionale italiana. Prima ci si confrontava sui forum, precursori dei social network, scambiandosi dati, impressioni e valori. Esattamente 10 anni fa, Football Manager fece cominciare la carriera da predestinato di Alessandro Tuia. Sì, proprio la bandiera della Salernitana, il difensore di Civita Castellana che ormai ha messo le tende all’ombra del Castello d’Arechi, diventando un “figlio adottivo” di questa città. Prima di toccare Torrione o Mercatello, il solarium di Santa Teresa o i Giardini della Minerva, per qualcuno era già diventato una leggenda.

L’edizione 2007 di Football Manager fece esplodere la sua stella. Evidentemente a quei “pazzi scatenati” che ogni anno raccolgono le indicazioni su tutti i calciatori del mondo, ma davvero tutti, era arrivata la voce che a Formello stava sbocciando l’erede di Nesta, captando quella nomea che ha seguito la carriera di Tuia. Aspettative che sono presto sfumate ma che, in ogni caso, non hanno impedito al calciatore granata di arrivare fino alla serie B. Dieci anni fa, però, c’era pure lui nella lista dei “wonderkids”. Era il Difensore, quello con la D maiuscola. «Un fenomeno», l’unica definizione trovata dai giocatori di “Scudetto” – il gioco, senza alcun motivo apparente, fu chiamato così da tanti per tempo immemore – per l’attuale baluardo della Bersagliera. Chi provava a trionfare nella Liga spagnola con l’Atletico Madrid così come chi cercava un’affannosa salvezza in C2 alla guida del Mezzolara o della Sangiuseppese poteva osservare da lontano le gesta di quel giovane che, in poco tempo, veniva lanciato dal “virtuale” Delio Rossi fra i titolari, scalzando Siviglia e Cribari, finendo ben presto nel mirino delle grandi di Italia, conquistando la maglia azzurra e trascinando la formazione di Donadoni nella fase finale dell’Europeo d’Austria e Svizzera.

Dieci anni dopo, mentre qualcuno ancora si interroga sulla reale esistenza di Tsigalko, il ricordo dell’erede di Nesta torna nella mente di chi rimpiange quelle notti passate a sognare di vincere la Champions League con il Verona e la coppia Mutu-Adailton in attacco…

Notizie Simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *