di DARIO CIOFFI
«Al Vestuti m’innamorai di te», cantano i tifosi della Salernitana in un coro ch’è un inno all’appartenenza, e fa nulla se, tra chi lo intona, qualcuno per mere ragioni anagrafiche il calcio in quello stadio “chiuso” da quasi trent’anni non l’ha mai visto. Quando s’invitava l’amichetto delle scuole elementari a giocare il pomeriggio ai videogames, del resto, si diceva «vieni a casa mia», mica «a casa del mio papà»…
Il senso di “Storie di Salernitana 1919-1990“, la mostra documentale in programma il 22, 23 e 24 settembre prossimi al vecchio Vestuti, è in fondo riassunta proprio in un esempio così: una squadra di calcio come una “madre”, con tutto quel che porta con sé, e generazioni di “figli” radunati per (ri)scoprirne da vicino le tappe essenziali del suo vissuto, ch’è inevitabilmente parte anche di loro. E per farlo i ragazzi dell’Associazione culturale 19 giugno 1919 hanno battuto a tappeto e saccheggiato gli archivi.
Il successo di “Salernitana, la maglia“, in scena due anni fa a Palazzo Genovese, per loro è stato uno sprone. La decodificazione d’un messaggio chiaro, inequivocabile: il popolo granata è “affamato” di storia. E allora eccogli servito un menu da circa 300 “cimeli”, che saranno raccolti in 60 cornici sistemate nell’area della Tribuna del “tempio” di Piazza Renato Casalbore, in un tuffo nel passato che comincia con la fondazione e l’epoca di Piazza d’Armi, fino al trasferimento nello stadio che un tempo era il camposanto cittadino (“poesia” pura quel «prima che il cimitero rispedisse altrove i suoi morti» a firma d’Alfonso Gatto).
Proprio il Vestuti, location mica casuale, è ovviamente il grande protagonista dell’evento. Perché i luoghi hanno un’anima e quello stadio che porta addosso gli inconfondibili segni del Regime Fascista sotto cui fu eretto, per diventare “casa” della Salernitana per sessant’anni (dal 1930 a 1990), è un simbolo di cui val la pena conoscere vita, morte e miracoli. Partendo dal progetto originario dell’ingegnere Guerra, redatto ormai quasi un secolo fa, e viaggiando nel tempo attraverso reperti esclusivi, foto assolutamente inedite che percorrono, sin dagli albori, tutte le decadi del calcio all’ombra del Castello dell’Arechi.
C’è un focus sul campionato di serie A del 1948, dove un numero dell’epoca della rivista “Il Calcio Illustrato” porterà il pubblico in una dimensione di suggestiva memoria condivisa, come la sezione speciale che, iniziando da Donato Vestuti, racconta le figure di 16 uomini scelti come simboli della storia granata, tutti salernitani di nascita con l’unica eccezione di Silvano Scarnicci. E poi, ancora, la sezione speciale su Salernitana-Taranto, la gara del 3 giugno 1990 che regalò la promozione in serie B alla squadra del presidente Peppino Soglia e di capitan Ago Di Bartolomei, facendo scorrere i titoli di coda sull’epopea dello stadio di Piazza Casalbore.
Partite, presidenti, dirigenti, calciatori. Manca qualcosa? Sì, e c’è anche quella. Una parte della mostra sarà dedicata alla tifoseria, promotrice e destinataria dell’iniziativa al tempo stesso: una serie di documenti originali sulla nascita del movimento ultras, l’epoca dei pionieri della Curva Sud tra la metà e la fine anni degli anni Settanta.
Martedì mattina, nella Sala Giunta di Palazzo di Città, la presentazione ufficiale d’una kermesse che Comune e Us Salernitana hanno patrocinato. Venerdì, alle cinque e mezzo del pomeriggio, il taglio del nastro. A margine dell’inaugurazione, l’Associazione 19 giugno 1919 (come già fatto due anni fa con la famiglia del compianto bomber Vincenzo Margiotta)insignirà il figlio di Carmine Iacovazzo d’un ritratto del padre, omaggio al calciatore con più presenze in maglia granata nell’epoca del Vestuti prima del sorpasso, nel nuovo corso dell’Arechi, dell’attuale recordman Luca Fusco.
La mostra, con ingresso rigorosamente gratuito, resterà aperta poi sia sabato che domenica, per l’intera giornata. Settant’anni in tre giorni, sotto quei gradoni ormai cadenti, e che però raccontano una storia che appartiene a un’intera comunità, mischiando le generazioni nel comune denominatore della passione. «Lo facciamo anzitutto per i giovani – parole del comitato organizzatore – perché sappiano com’è nata, come ha vissuto e cosa ha significato la squadra per cui fanno tifo». E per dare un senso a quel coro: «Al Vestuti m’innamorai di te»…