di DARIO CIOFFI

Ognuno ha una storia, e quella di Luca Fusco parla da sé. Come lui nessuno mai, in quasi un secolo di Salernitana. È il recordman di presenze, ma tra le pieghe dei numeri c’è un’anima che nessun almanacco potrà metter fedelmente in colonna. Perché il capitano di tante battaglie quella maglia granata ce l’ha davvero tatuata sulla pelle, e non soltanto per sterile e abusato “modo di dire”.

Bandiere si diventa, certo. E però con la bandiera tra le mani si nasce. A Luca è successo proprio così, e inutile chiedersi qual era il vessillo della sua infanzia. Domanda retorica per un figlio del quartiere Mariconda, alla periferia d’una città in cui la Salernitana è il “buongiorno”, la “buonanotte” e tutto quel che passa di mezzo nel resto della giornata. Sì, la vera, grande differenza tra Fusco e tante altre icone del cavalluccio marino, uomini che di Salerno son poi diventati cittadini onorari o adottivi, è anzitutto all’anagrafe, nell’appartenenza. Lui è granata per diritto di nascita e ha continuato a esserlo pure quando la carriera da professionista l’ha portato a giocare, dando tutto se stesso, per Cavese e Messina, Genoa e Crotone, Paganese e adesso Pro Vercelli da allenatore in seconda, vice di Gianluca Grassadonia.

Chissà quanto forte gli batterà il cuore, domani sera al Silvio Piola, nel ritrovare da avversario in serie B la squadra d’una vita, che gli ha lasciato indelebile sul braccio il segno della fascia di capitano, e per la quale poco più d’un anno fa tornò in trasferta, a Lanciano, in Curva con gli ultras, ché c’era da sostenere l’ippocampo nello spareggio playout per la salvezza. Si ricorderà di Salernitana-Fidelis Andria, di sicuro, ultima d’andata del campionato cadetto 1997/’98, quando Delio Rossi lo fece esordire titolare a vent’anni. O di quello schiaffetto di Paolo Maldini, il “mito” che lui strattonava in area nella prima dell’Arechi in A contro il Milan. Era un ragazzino, Luca, ma in difesa s’è sempre fatto rispettare, diventando in poche stagioni leader granata in campo e fuori.

Una storia interrotta nel 2003, e però ripresa nel 2007, per vincere un torneo di terza serie e vestire la “sua” maglia per altre 82 volte, da sommare alle 150 dell’avventura precedente. Batté il record di presenze in una notte senza stelle, quando una Salernitana già retrocessa perse (pure) contro la Reggina rovinando una festa che Fusco avrebbe meritato molto diversa. Fa nulla. Uomo di mondo e di calcio, il capitano ne ha passate e sopportate tante, compresa l’onta d’un processo a Bari da cui è uscito «assolto perché il fatto non sussiste». Ed è rimasto sempre lo stesso, Luca, senza macchie né rancori, il calciatore generoso e carismatico che ha trasferito il suo bagaglio nella nuova esperienza da patron d’una scuola calcio (la Soccer Academy), gestita con l’inseparabile fratello ed ex compagno di squadra Enzo, e da allenatore.

Già vice di Grassadonia alla Paganese, quest’anno l’ha seguito a Vercelli, alla guida della gloriosa Pro, la società dei campioni d’Italia agli albori del football in Italia. L’avventura è iniziata in salita, e siccome il destino spesso si diverte ecco che per lo staff tecnico dei bianchi piemontesi il turno infrasettimanale contro la Salernitana è già un crocevia. Cose che capitano, o se preferite – questione d’accenti – cose da capitano. D’accordo gli almanacchi, ma la storia (granata) di Fusco è molto di più…

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