di DARIO CIOFFI

Viviamo in un tempo d’individualismo esasperato, in cui semplicemente ritrovarsi con gli altri è un lusso, figuriamoci “festeggiare”.

È il tempo della crisi. Il pane è poco e per quel “tozzo” spesso ci si scanna, si fa la guerra, che non lascerà morti a terra, e però ferite nell’anima della gente sì, di sicuro.

È il tempo dei social. Si esce con gli altri ma senza guardarsi in faccia, o comunque troppo poco, perché agli occhi di chi si ha di fronte, per chissà quale barbaro motivo, si preferisce la foto che qualcun altro – altrove – ha appena “postato”.

È il tempo dell’aggregazione (solo) virtuale, in cui ci s’illude con un click di sentirsi “comunità”, ch’è invece concetto assai più complesso e profondo, con tutti i pro e i contro che porta con sé.

È il tempo della frenesia. Anche chi Crede prega poca, salvo poi ricordarsi del Signore quando si è alle strette, e poi pretendere che Lui si ricordi di noi ché ne abbiamo bisogno, dopo aver capito che da soli si fanno macelli.

In questo tempo così strano, piccolo e spesso vuoto, una festa patronale può esser momento che restituisce il senso del «noi», prendendo a calci quell’«io» che difendiamo a volte inconsciamente nel perenne sforzo d’apparire quel che vorremmo essere, piuttosto che ciò che siamo.

E allora ecco che il San Matteo di Salerno (ri)diventa occasione irrinunciabile per unire la gente, per farla sentire una comunità vera e non una community online. È un processo antico, che oggi si rinnoverà per le strade della città, con la sfilata delle statue dei Santi tra due ali di folla. Sarebbe meglio tener entrambe le mani libere per applaudirle, anziché alzare gli smartphone per filmare tutti la stessa scena, ma è forse esigere troppo da noi stessi.

Giusto, piuttosto, sarebbe chiedere ad aspiranti protagonisti d’una Processione religiosa, ch’è pure una festa popolare, di rinunciare alle pretese di far concorrenza ai Santi, vivendo con sobrietà una passeggiata ch’è qualcosa di più grande d’un momento di gloria per singoli che fanno a gara a chi saluta più persone o becca più applausi. D’errori, in tal senso, Salerno nel recente passato ne ha commessi già troppi, e la concordia, spontanea o costruita, in cui nasce questo 21 settembre 2017 è la base da cui ripartire per restituire a San Matteo il suo valore più autentico e genuino, il giusto compromesso tra spiritualità e ritualità civile.

È un giorno diverso, che inizia in Duomo e finisce – di nuovo – con i fuochi di mezzanotte in mare, ma che soprattutto riconsegna il senso dell’aggregazione, dell’identificazione. Perché ciascuno, durante la marcia dei Santi, si sente idealmente sotto quelle statue che i portatori reggono su una spalla, tenendo sull’altra l’asciugamano e il braccio del compagno di paranza che lo segue. E perché tutti in quei momenti abbiamo qualcosa da chiedere, e sarebbe bello se ci si ripromettesse d’aver pure qualcos’altro da dare.

È il (vero) valore d’una festa, in fondo. E soprattutto d’una comunità. Sembrerà pochino, sciocchezze, ma di questi tempi è roba preziosa, irrinunciabile.

Buon San Matteo.

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