di DARIO CIOFFI
L’eco della storia resta. Pure il giorno dopo la chiusura della mostra. Rimane lì, vivo e immortale, tra il rumore d’un sacco preso a pugni nella palestra dei pugili, il fischio del coach dell’atletica che dà il via ai 100 metri e il sibilo d’un apparecchio di scherma che segnala le stoccate. Al Vestuti la vita è tornata a scorrere come sempre, e però la magia che per tre giorni ha trasformato il vecchio stadio di Piazza Casalbore in un “museo del calcio” a Salerno l’avverti ancora nell’aria.
È l’effetto che fa il day after di “Storie di Salernitana”, la manifestazione organizzata dall’Associazione 19 giugno 1919 per raccontare attraverso una mostra documentale cos’è stato il “pallone” all’ombra del Castello d’Arechi dalle origini al 1990, fin quando quel “tempio” nel cuore della città è stato teatro di vittorie (poche), amarezze (un bel po’), battaglie (infinite). Un viaggio nel tempo che ha attirato e stregato migliaia di persone. Dai nonnini che tra quei cimeli affissi nel corridoio sottostante la Tribuna hanno rivissuto momenti della loro giovinezza a bambini che in quello stadio non avevano forse mai messo piede.
Un incrocio di generazioni e vissuti diversi. Con una sola cosa in comune: il fascino per una storia sportiva ch’è annodata a quella d’una comunità intera. Una riscoperta dell’antico che ha fatto stropicciare gli occhi, perché ogni cimelio aveva un’anima in cui riconoscersi e poi perdersi, lasciando alla memoria o alla fantasia il compito di far da sé, per rivivere o immaginare un passato che “appartiene” a tutti. Nella società in cui il “noi” è concetto debole, a volte invisibile, è roba che lascia segni sul cuore. Anche a chi non vive la passione di tifoso con il trasporto d’un ultrà o il coinvolgimento d’un addetto ai lavori.
Sono arrivati in tanti, al Vestuti: moltissime vecchie glorie della Salernitana, il sindaco Enzo Napoli, il co-patron Marco Mezzaroma, ma la lista dei “chi c’era” mai come stavolta è trascurabile dettaglio, da sacrificare sull’altare dei contenuti. Ché le scene più belle le hanno regalate gli anziani che “improvvisavano” didascalie di foto in bianco e nero ai loro nipotini, i papà che spiegavano ai loro figli chi erano gli antenati della loro ossessione, le mogli che finalmente capivano cosa c’è dietro a quel “viziaccio” che ogni maledetta domenica (o sabato, o quando diavolo al giorno d’oggi si gioca) tiene i mariti lontano da casa.
È la storia granata, prim’ancora che arrivasse quel colore, durante e dopo. Con l’ippocampo e senza. Tra il blasone della sfida con il Grande Torino e le mortificazioni dei campionati vinti solo in estate, nel racconto di personaggi epici, che hanno scritto pagine incancellabili, ingiallite quanto si voglia. Un “tesoro” in esposizione, in un weekend speciale, proprio come lo fu quello di due anni fa a Palazzo Genovese per “Salernitana, la maglia”, altra kermesse firmata dall’Associazione 19 giugno 1919.
E adesso? La “fame” di storia mostrata dal pubblico imporrebbe una svolta forte, seria, decisiva. Sì, perché certi patrimoni non possono esser dispersi. Anzi. Vanno valorizzati. La prossima missione, allora, dovrebbe essere – e se il condizionale sparisse in fretta sarebbe ancora meglio – costruire un museo permanente sulla Salernitana. Certo, non ci saranno decine di trofei da esporre, e però c’è quasi un secolo d’esistenza da raccontare e far conoscere alla gente che lo sente suo o che vuole scoprirlo.
Si dice che al Vestuti l’idea abbia cominciato a prender quota. E che sia arrivata pure all’orecchio di patron Mezzaroma. Una casa per la storia. Del resto, il futuro appartiene a chi conosce il passato…