di DARIO CIOFFI
Era un autunno caldo, quello del 1998. La Salernitana neo promossa in serie A arrivò alla trasferta di Parma, anticipo in un sabato d’ottobre, senz’aver ancora vinto una partita. Ne aveva perse tre su quattro, e certo le pareva difficile chieder strada e punti alla corazzata di Alberto Malesani. Erano gli anni d’oro della Parmalat e delle grandi ambizioni crociate, il prosieguo dell’era Nevio Scala. I miliardi di lire volavano, in un campionato che da pochi anni aveva conosciuto la copertura totale della tv a pagamento, e nella città ducale se ne spendevano caterve pur di coronare il sogno (che sarebbe però sempre rimasto utopia) di vincere uno scudetto.
Al Tardini, contro quei “colossi”, i granata giocarono a testa alta. Era il giorno dell’esordio-bis di Totò Fresi, tornato a casa con il numero 33 sulle spalle (il “suo” 6 era già occupato, e allora optò per un 3+3) dopo aver assaporato il gotha del calcio con l’Inter del “fenomeno” – di soprannome e di fatto – Luis Nazario da Lima, per tutti Ronaldo. Delio Rossi puntò sul difensore sardo per provare a blindare una retroguardia che subiva troppo, spostando Rigobert Song, il camerunense reduce dal Mondiale di Francia, nel ruolo di terzino destro. In avanti il povero Emilio Belmonte, che in serie A arrivava con un doppio salto dalla C, fece il possibile per dar manforte a Marco Di Vaio, battendosi tra il campione del mondo in carica Lilian Thuram e il futuro “Pallone d’oro” Fabio Cannavaro (non male come coppia centrale, vero?). Ci provò, l’ex Nocerina, però a quei due non era mica facile far “marameo”. E più complicato ancora diventava insidiare il primato d’imbattibilità che rincorreva un giovane ma già affermato Gigi Buffon, raro esempio di continuità tra il calcio d’ora e d’allora.
Tenne botta per più d’un tempo, la Salernitana. I tifosi parmensi fischiarono forte, all’intervallo, mentre quello spicchio di stadio colorato di granata cantava incessantemente: non erano i 12mila del debutto all’Olimpico di Roma, ma facevano un gran “casino” comunque. La storia della gara cambiò nella ripresa. Su un episodio non figlio del caso. Inesperti e un po’ “pivellini”, i ragazzi di Rossi beccarono gol sugli sviluppi d’un calcio di punizione battuto di mestiere da un marpione chiamato Juan Sebastian Veron, che (ri)mise subito in gioco una palla che gli avversari neppure guardavano, intenti a protestare con l’arbitro per un fallo che a loro dire non c’era, innestando il duetto d’un tandem d’attacco stellare: Enrico Chiesa per Hernan Crespo, passaggio di ritorno dell’argentino e conclusione micidiale del papà di Federico, che oggi segna alla stessa maniera e nel “nome del padre” con la maglia della Fiorentina ma che nell’ottobre del 1998 festeggiava il suo primo compleanno.
Scossa, sfinita, la squadra del cavalluccio marino marcò la resa quando Daniele Balli venne infilato dal raddoppio di Diego Fuser. Finì 2-0, come da pronostico, e però Delio Rossi, presentandosi in sala stampa in versione ultras, con il berrettino granata “griffato” NG – la sigla della Nuova Guardia ricamata in color oro sulla bandiera giamaicana -, ci tenne a scacciare i primi seri venti di crisi (che sarebbero comunque arrivati nelle settimane a seguire): «Per 70 minuti ho visto in campo un’ottima Salernitana, che ha tenuto testa a un grande Parma».
Da allora la maglia granata (anche se senza ippocampo sul petto) al Tardini ci è tornata, in una sfida di serie B pareggiata nel 2009, e però è quello di 19 anni fa il precedente che “pesa” e che fa memoria. Per fascino, per blasone, per suggestione. E magari pure per desiderio riscatto. Ché anche i ducali di oggi sono forti, ma mica invincibili come quei “colossi”…