di DARIO CIOFFI

«Ricordo quando entravo negli spogliatoi dell’Arechi, alla fine d’ogni partita della Salernitana, nei primi anni Novanta. Ero un bambino e appena mi aprivano la porta correvo ad abbracciare il mio papà. Lo stringevo forte e sentivo sulla mia pelle quella maglia: pesava 10mila chili di sudore. Era il segno dell’onore e dalla battaglia, d’una squadra meravigliosa». I ricordi dell’infanzia sono i primi appunti d’una nuova vita da allenatore. Perché quel bimbo ora è diventato grande e ha fatto della passione paterna il suo lavoro. Si chiama Francesco Grimaudo. E se vi state chiedendo “ma chi, quel Grimaudo lì?” sappiate che siete sulla giusta strada. Sì, è proprio il figlio di Claudio, al secolo “Cavallo pazzo”, il terzino destro della “favola” granata d’oltre un ventennio fa.

È cresciuto tra “gli amici di papà”, Francesco, mangiando pane e pallone, tanto da diventare oggi uno dei più giovani tecnici con patentino Uefa B. Lo conseguì già a 25 anni, adesso ne ha 28 ed è entrato a far parte dello staff della polisportiva Calcio Sicilia, società di Palermo legatissima al club rosanero e punto di riferimento per l’attività giovanile sull’Isola e a livello nazionale. Campione d’Italia in carica nella categoria Allievi, è realtà affermata, blasonata, nota come fucina di talenti (di recente due tra i suoi ragazzini più promettenti sono passati alla Juventus e alla Fiorentina, quest’ultima operazione curata dal dirigente salernitano dei viola, Enrico Coscia).

Da lì Grimaudo jr. ha lanciato la sua grande sfida. «Ho smesso di giocare molto presto, ad appena 22 anni – racconta –. Ho sempre desiderato allenare e cominciare con Esordienti 2005 e Pulcini 2007 d’un sodalizio così importante è motivo d’orgoglio. Qui c’è un programma ambizioso, ampliato anche da un progetto volto alla crescita dei ragazzi dal punto di vista tecnico in cui sono stato coinvolto grazie ad Alberto Azzimati e Franco Sucameli. L’opportunità Calcio Sicilia significa tantissimo per me e sono onorato della fiducia avuta dai presidenti Enzo Zito e Nino Manno, come dai direttori sportivi Piero Dell’Orzo e Gianfranco Giacone».

Francesco studia scienze motorie e il calcio di Zeman, il suo ideale di gioco. «Mi piace lo spettacolo. È importante che i ragazzi in campo si divertano e che gli spettatori vadano via felici», dice attingendo da un motto del boemo che ha fatto suo: «Il risultato può essere casuale ma la prestazione no». E soprattutto per i bambini la vittoria non è l’unica cosa che conta. «Sabato scorso, con gli Esordienti, siamo usciti sconfitti ma i genitori a fine gara si sono complimentati per la qualità della prova. Sanno che adoro “Zemanlandia”, dicono che voglio trasformarla in “Grimalandia”», sorride.

È della scuola di “Cavallo pazzo”, del resto: allegro, sanguigno, passionale. «Nostro padre ci ha trasmesso l’amore per lo sport. Parlo al plurale perché anche mia sorella Federica, ch’è nata a Salerno, è stata contagiata da questo splendido virus: lei sta cercando d’affermarsi nel ballo, partecipa a gare internazionali».

Con Salerno, inutile dirlo, il legame è fortissimo. E Francesco, il bimbo che nel 1994 piangeva allo stadio San Paolo dopo la promozione dei granata in serie B, un po’ per l’emozione e un altro po’ perché nel 3-0 sulla Juve Stabia non aveva segnato il papà (che macinava chilometri fino a consumar la fascia, ma di gol evidentemente ne realizzava pochini), ha un sogno intuibile: «Il desiderio più grande è rincontrare la Salernitana nella mia strada professionale, sedere sulla panchina dell’Arechi. Sono un palermitano con Salerno nel cuore, visto l’affetto che mio padre ha ricevuto lì. Dunque, per me sarebbe il massimo». Sì, è proprio “quel Grimaudo lì”…

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