di ALESSANDRO BASSO*
Mentre i padri dell’Indipendenza cittadina si combattevano a suon di carte bollate e di burocrazia nello scontro decennale fra frazioni basse e frazioni alte avvenne la più grande tragedia della storia moderna del comune di Pontecagnano Faiano: l’alluvione del 1899.
Il simbolo della nostra città è da sempre il ponte, il ponte di Cagnano che sin dall’antichità definiva questa zona prima paludosa e poi bonificata. Si diceva: «jamm ‘o ponte r’ Cagnano». E si raccontavano molte favole sul ponte: favole di morte e favole di vita. Di ponti, invero, ce ne sono stati diversi, da quello romano ai tempi della Strada Consolare, a quelli lignei del Medioevo, fino a quello in muratura che fu il protagonista della tragedia.
Il 7 ottobre del 1899 era un sabato. Un sabato di paese. Pontecagnano era ancora un paesotto fresco di pittura dal momento che le prime abitazioni erano cominciate a venir su nel 1840 quando ci fu l’esigenza di costruire. La Chiesa dell’Immacolata rintoccava nella sue campane e nel suo orologio e il commercio sul Corso tirava a campare fra piccoli negozi, bettole e taverne che denunziavano la vocazione di passaggio della Via Rotabile sulla quale si affacciava il paesetto. Le signore facevano le compere, i signori col cappello di feltro fumavano un sigaro appoggiati ai muriccioli o seduti ai tavolini dell’unico caffè che era un poco il Gambrinus di noi altri.
La mattinata non era schiarita bene, si vedeva. Non schiariva bene già da molti giorni. Il tempo s’increspò all’ora del tramonto. E peggiorò per tutta la notte. Piogge scroscianti falcidiarono il cielo scuro e senza luna di quella notte di tragenda. I tuoni rimbombavano nella testa di chi non riusciva a prendere sonno sul suo giaciglio e i lampi rischiaravano la notte illuminandola di presagi funesti. Donn’Amalia si stringeva al marito perché aveva paura. Don Pasquale si stringeva a Donn’Amalia con la scusa di proteggerla: «Adda passa’ ‘a nuttata!». A fatica presero sonno. E con loro s’addormentò tutto il paese. La notte era lunga. La tempesta infuriava senza vento.
Fu prima dello schiarire che un tonfo interruppe il sonno lieve dei pontecagnanesi. Un tonfo da bombardamento. Si svegliò il farmacista, si destò il bettoliere, la guardia municipale s’infilò la divisa e scordò il cappello. Non si fece a tempo a mettere piede a terra che una furia d’acqua e fango invase il Corso. Ora bisogna dire che all’epoca in cui accaddero i fatti Pontecagnano sorgeva in un piccolo avvallamento (oggi quasi colmato dalla nuova stratificazione cittadina) compreso fra la discesa del vecchio ponte e la salita delle Cannicelle: una rientranza naturale che riempendosi d’acqua fece da piscina.
Per le forti piogge della giornata e dei giorni precedenti, dai monti scesero a valle molti detriti che, accumulandosi all’imbocco del nostro antico ponte in muratura a cinque luci, lo ostruirono formando una diga. L’onda risalì rapidamente al livello della strada lastricata di basoli e di lì scivolò furente verso la Chiesa: la invase. Ghermì la statua dell’Immacolata e la trasportò sulle acque fino a quando il povero e impavido sacrestano non si gettò a nuoto per recuperarla. Non ci fu nulla da fare: la statua era inutilizzabile.
Il farmacista rimase bloccato nella sua farmacia, l’acqua gli arrivava al collo, e si salvò solo perché gli venne in mente di forare il soffitto di travi e sfondare al piano superiore. Le taverne si allagarono, la barberia pure. Si fece appena in tempo a salvare una povera figlia che affogava grazia all’intervento dell’eroico carabiniere a cavallo che dalla caserma antica fu il primo a trovarsi il letto zuppo e pensò bene di prendere il suo fido destriero e scendere in strada. L’acqua arrivò fino ai primi piani e li vi stangò fino a quando la pioggia non cessò. Allora si ritirò e lasciò soltanto il fango.
La mattina dopo il disastro la folla assiepata sul Corso in camicia da notte aveva gli occhi sgranati dalla paura e non riusciva a pensare che a quella notte pazza di acqua e fango. Parevano fantasmi. E grazia a Dio non c’erano stati morti.
L’Amministrazione Comunale e quella Provinciale mandarono aiuti e soccorsi. E deliberarono senza perdere tempo la costruzione del nuovo ponte in ferro, quello che fu abbattuto e ricostruito all’epoca di Fiorentino Sullo negli anni Sessanta del secolo scorso. Finanche il Governo si mobilitò per i pontecagnanesi e mandò il Ministro dei Lavori Pubblici, l’onorevole Pietro Lacava, a constatare l’entità dei danni.
Prima che il fango sbiadisse il suo segno, nella Chiesa e sul Corso, si apposero lastre di marmo in ricordo dei fatti: «Fin qui la piena del 7 ottobre 1899».
*scrittore