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di FRANCESCO CACCIATORE*

Cesare Battisti, ex membro del gruppo terroristico Proletari Armati per il Comunismo (PAC), verrà, con ogni probabilità, estradato a breve dal Brasile, dove aveva trovato rifugio negli ultimi dodici anni, dei trentasei totali trascorsi dalla sua fuga dal carcere di Frosinone, e dall’Italia. Il suo ritorno riapre due questioni: una è quella della pesante eredità, soprattutto ideologica, degli anni di piombo, e di un passato con il quale il Paese ancora non è sceso a patti. L’altra, forse meno evidente ma non per questo meno significativa, è quella relativa al garantismo e all’efficacia del diritto quando questo sia frutto di legislazioni “eccezionali”, come appunto quella anti-terrorismo emanata negli anni di piombo.

Riassumiamo in breve la tormentata vicenda umana e giudiziaria. Battisti, proveniente da famiglia di estrazione proletaria, finisce in carcere nei primi anni Settanta per rapina, sequestro di persona e assalto a un ufficiale durante la leva militare. In carcere conosce Arrigo Cavallina, ideologo dei PAC, grazie al quale avviene la sua “conversione” alla lotta armata. Tra il 1977 e il 1979 Battisti si trasferisce a Milano e comincia a partecipare alle azioni del gruppo eversivo. Nel ’79 i PAC vengono sgominati dall’azione antiterrorismo. Battisti viene arrestato e condannato, in primo grado, a sei anni di reclusione per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata, raddoppiati a dodici per l’aggravante di associazione sovversiva, secondo la legislazione speciale vigente. Nel 1981 evade e lascia l’Italia, trovando rifugio prima in Francia, poi in Messico e poi di nuovo in Francia, approfittando della cosiddetta “dottrina Mitterand” che garantiva a persone imputate per atti di natura violenta ma d’ispirazione politica la protezione dall’estradizione. In contumacia, Battisti viene condannato prima in appello e poi definitivamente in Cassazione a due ergastoli per i quattro omicidi eseguiti dai PAC, in due dei quali avrebbe sparato di persona i colpi mortali.

È proprio sulla responsabilità – o mancata tale – in  questi omicidi che si concentra la difesa di Battisti e dei suoi sostenitori. Qui si aprono anche le discussioni in merito all’efficacia e alla costituzionalità della legislazione speciale antiterrorismo, in particolare la legge Reale del 1975 e la legge Cossiga del 1980. Entrambe introdussero una serie di misure repressive, inasprirono le pene per i colpevoli di terrorismo, e ampliarono i poteri della polizia. Queste leggi suscitarono dibattiti in merito alla loro costituzionalità, nonostante il parere favorevole della Corte, e furono sottoposte all’approvazione popolare tramite due referendum. In entrambi i casi, il sostegno alla legge fu schiacciante (76% per la Reale e 85% per la Cossiga). Tornando al caso Battisti, emersero in concreto tali preoccupazioni sull’efficacia legislativa. L’accusa si basò, infatti, principalmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Mutti, ex membro dei PAC, definito dalla stessa Corte di Cassazione come testimone poco attendibile, in quanto manipolatore della verità per il suo interesse; nelle dichiarazioni di Mutti, infatti, emersero numerose contraddizioni. Fu proprio la mancanza di fiducia verso l’istituto del collaboratore di giustizia, introdotta dalla legge Cossiga, che spinse il Presidente Mitterand a enunciare la sua dottrina.

Battisti nega quindi di aver mai commesso alcun omicidio, e si descrive come un capro espiatorio nella lotta tra lo Stato e le organizzazioni eversive. Tesi condivisa anche dai tanti suoi sostenitori, un parco di personaggi vasto e variegato che, nel corso degli anni, ha incluso intellettuali francesi, italiani e sudamericani (compresi Gabriel Garcia Marquez, Fred Vargas,  Daniel Pennac, Valerio Evangelisti e, fino al 2009, Roberto Saviano) e politici, non ultimo l’ex presidente brasiliano Lula, che gli concesse asilo politico e un visto permanente. Dunque, se la questione giudiziaria prima accennata è complessa, quella ideologica lo è forse ancora di più, e le due si intrecciano pericolosamente. Fino a che punto la presunzione di innocenza, il sospetto verso un sistema giudiziario ritenuto inaffidabile, possono portare a intraprendere crociate ideologiche a favore di chi, a prescindere dagli omicidi commessi, resta comunque il rappresentante di una deriva violenta, volta a sovvertire le basi stesse dello Stato e del vivere civile? Le leggi speciali, con la loro natura controversa, nacquero dalla necessità: la necessità di un  paese sconvolto dal terrorismo e dalla violenza. Il primo compito di uno Stato è quello di garantire la sicurezza dei propri cittadini, acquisendo il “monopolio della violenza”. Battisti non fu di certo perseguitato solo per il suo credo politico, ma per la sua appartenenza a un organizzazione violenta e sovversiva.

Il discorso è, chiaramente, molto complesso, e la problematica non è di facile soluzione. Il ritorno di Battisti in Italia di certo riaprirà un dibattito che, temo, non verterà su temi di giustizialismo e garantismo. Il problema con le ideologie è che è difficile lasciarle andare. Non è un caso se quasi tutti gli intellettuali che, nel corso dei decenni, si sono schierati a difesa dei diritti civili e umani di Battisti, fossero di sinistra, così come le erano Mitterand e Lula. In Italia, l’ intellighènzia di sinistra si è resa spesso colpevole di giustificare l’ingiustificabile, di schierarsi tout court a difesa dell’indifendibile, lasciando all’ideologia il ruolo di paraocchi. All’indomani dei primi attentati delle Brigate Rosse,  L’Unità li definì opera di persone mascherate “dietro anonimi volantini con fraseologia rivoluzionaria” ma agendo in realtà per conto dei grandi industriali. Era l’inizio della “teoria della provocazione di destra”, della quale la sinistra legale si sarebbe fatta scudo per tutti gli anni di piombo. Sarebbe naturale aspettarsi che le cose siano cambiate, oggi, a quasi trent’anni dalla caduta del Muro e dalla dissoluzione dell’URSS, invece sono cambiati soltanto i fantocci dell’ideologia: ieri Persichetti e Battisti, oggi Chavez e Maduro.

L’estradizione di Battisti, allora, potrebbe essere davvero l’occasione per “chiudere” con un passato dall’eredità soffocante. Questo richiederà, però, grande impegno e soprattutto un’onestà intellettuale della quale né la politica né i pensatori (di tutti gli schieramenti ideologici) hanno mai dato molto sfoggio.

*storico, ricercatore, giornalista e scrittore freelance

“Occhio di riguardo” è una rubrica settimanale di approfondimento su temi di attualità e di cultura, con uno sguardo alla politica, alla società e all’economia.

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