salernitana minala

di DARIO CIOFFI

Partiamo dalla fine, come scrivono i giornalisti “scarsi” con l’incipit al plurale maiestatis che fa venire il mal di stomaco ai direttori dei giornali (i più cattivi si mangerebbero il foglio, i più pazienti direbbero «cambialo»). Avellino-Salernitana volge al tramonto sul 2-2, al Partenio è già buio e il cronometro della Lega B sui cartelloni pubblicitari come al solito s’è fermato al 90’ (non si sa perché, ma il recupero non lo mostra mai).

Rodriguez s’accascia a terra, stremato, sfinito. Chiede un cambio che non c’è più, ché Bollini le tre sostituzioni le ha esaurite da un pezzo. Sorride ancora, nonostante il dolore “cane”, l’attaccante spagnolo dei granata. Sorride sempre, quando gioca di sguardi con compagni e avversari, in questo caso con l’arbitro che intanto vien preso d’assalto dai calciatori biancoverdi. «Si recupera anche questo tempo qui, signore», dicono a Francesco Fourneau della sezione di Roma 1, uno ch’è esordiente in serie B ma che il derby lo governa con il carisma d’un veterano.

Eh sì, certo che si recuperano, quei 30 e forse più secondi che impiega Rodriguez a sfilarsi dal campo. L’extra-time, indicato in 5 minuti, s’allunga. L’Avellino, che gioca in casa e s’è fatto rimontare due gol in meno d’un quarto d’ora, pensa che basti per l’ultima “preghiera”. Ma pensa male. Perché questa Salernitana che non s’è ancora capito quanto vale e a cosa ambisce, fin qui, ha consegnato al campionato una sola certezza: il suo sprint finale. La volata la lancia Sprocati mettendo in mezzo un pallone telecomandato, sui piedi di Minala. È il match point.

Faccia a faccia, occhi negli occhi, il camerunense e Radu. Joseph è lì, in un momento che fa storia. Delle due l’una: o le gambe gli fanno “Giacomo-Giacomo”, e tremolante spara sul portiere, oppure combina qualcosa che ricorderanno in molti, e che lui si porterà dietro per tutta la vita. Sceglie la seconda. Incrocia un diagonale chirurgico, il palo gli fa la sponda e la palla va dentro. Per la terza volta in 18 minuti.

Quel che ne segue è l’espressione d’un segreto, del perché un derby sia qualcosa di così speciale. Lo spicchio di stadio granata che vien giù dalla gioia, persino un cancello del settore ospiti che si apre, una squadra fino a quel punto anonima e quasi indifferente alla sua gente, che ama la maglia ma non chi la indossa, che diventa d’improvviso una truppa d’eroi, da portar in trionfo al ritorno a casa, e qualcuno che corre armato di bomboletta a scrivere sul primo muro che incontra «Minala al 96’», come qualcun altro molto prima di lui fece con «Breda al 76’», stessa gara, però 23 anni fa.

Siamo partiti dalla fine, come i giornalisti “scarsi”. Avellino-Salernitana è stato anche altro. Un primo tempo che già non ricorda più nessuno (ma perché, s’è giocato?), brutto ed equilibrato come il calcio italiano medio di B (l’A2 lasciatela alla pallavolo, al basket e alla pallanuoto). Poi un avvio di ripresa da lupi, con Kresic a staccare di testa il pallone dell’1-0 beatamente solo, dopo esser stato dimenticato da tutti, e Laverone – uno che da Salerno andò via in fretta tanto da far passare per “plusvalenza” i soldi risparmiati per il suo ingaggio – a raddoppiare, con la fondamentale complicità d’una deviazione di Odjer, sfortunato in quel caso e sciagurato nel resto d’una partita da cui per fortuna Bollini lo tira fuori, prima che possa pensarci lui stesso facendosi espellere.

Già, Bollini. Al quarto d’ora del secondo tempo per mezza Salerno è già virtualmente “sotto il sole di Riccione” (ché i colonnelli dell’Aeronautica dicono che questo scorcio d’autunno riserverà ancora bel tempo). Poi entra Rosina, che nella sua gestione tecnica non è mai stato un “re”, e qualcosa inizia a cambiare. Pian piano. Il tempo scorre, l’Avellino s’abbassa. Novellino, in camicia e maglioncino come il collega granata, non se l’aspetta. Nessuno se l’immagina. Invece, l’episodio che dà una sbrinata a una sfida che per gli irpini pareva già in ghiaccio arriva all’improvviso.

Segna Rodriguez, sì, quello che sorride sempre, su corner di Rosina (sì, il “paperone” che Lotito paga tanto ma che gioca poco), spingendo una palla sporcata da Minala (sì, lo stesso che prenderà carta e penna quando ci sarà da firmare sul libro di storia in inchiostro granata). È un gol di “sedere”, metaforicamente, forse di costola, anatomicamente. Comunque, è 2-1. Gli ultras dell’ippocampo cantano forte, però non dite che riprendono fiato, perché si sentivano maledettamente pure quando il Partenio faceva baldoria.

Bollini è un po’ meno certo di tornare a Riccione, ora è dalle parti di Orte e cerca l’inversione di marcia. Tocca pareggiare. La Salernitana spinge, ci prova due o tre volte. Senza fortuna. E allora Sprocati, che con quella maglia addosso e quella gente di fronte sembra Asterix dopo aver bevuto la pozione magica, decide che può far tutto da sé: assolo, diagonale, gol. È la rete del 2-2. Ce ne sarebbe già abbastanza per il tripudio granata, però nei derby i pareggi non fanno storia. Lazzaro a parte.

Già, «Lazzaro al 94’». Quella volta, al San Paolo di Napoli, l’argentino segnò nel “recupero del recupero”, concesso perché un tifoso azzurro aveva deciso d’invadere il campo. Più o meno come fa quel simpaticone di Rodriguez, che invece esce sorridendo anche se dolorante, allungando la partita e rischiando d’accorciare l’esistenza di chi si fa travolgere delle emozioni.

Il finale è sempre quello lì. E chi s’è inventato una sceneggiatura così “folle” merita d’esser riletto. Minuto 96. Lancio di Sprocati. Minala è solo. «Che fai, Joseph? Ti squagli e resti sull’uscio o enti nella storia?». «La seconda», decide lui. Gol, 2-3, delirio, Avellino rimontato e sconfitto a casa sua 23 anni dopo «Breda al 76’».

Da domani la Salernitana riprenderà a chiedersi chi è e dove potrà arrivare. Lotito risponderà «lontano», e allora gli ribatteranno che «tanto in serie A non si può, ché c’è il problema multi-proprietà», così che il disincanto tornerà a prender a cazzotti il cassetto in cui son custoditi i sogni granata. Che noia invincibile dà questo calcio di tormenti e tormentoni ridondanti. T’immagini, invece, se fosse sempre derby…

(foto Carlo Giacomazza)

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