suicidio università salerno

di DARIO CIOFFI

C’è un’età in cui dovrebbe esser vietato morire e ci sono posti, che raccontano vita, gioventù, spensieratezza e sogni, in cui la morte è ancor più “fuori luogo” che altrove. Per questo l’immagine di quel telo che copre il cadavere d’un ragazzo di 21 anni, lì, nel bel mezzo dell’Università di Salerno, diventa un’ossessione che toglie il respiro. Un tarlo nella testa e un graffio sul cuore. Mentre la mente di chi ha vissuto o ancora frequenta ogni giorno il campus di Fisciano inizia a far da sé, reagendo a quella scena macabra e disperata facendoci ripercorrere idealmente frammenti d’esperienze che custodiamo nei cassetti più intimi della nostra memoria, dolci ricordi d’un tempo che ci segna, e che non sfuma mai neppure quando finisce. Come se volesse restituirci il senso vero di quel luogo e d’un’avventura ch’è molto più d’una laurea ottenuta o inseguita invano.

Accadde a chi scrive, e chissà a quanti altri, quando quel pullman investì e uccise la povera Francesca, al terminal bus. Riaccadde nel giorno d’un tonfo nel vuoto che bagnò d’un sangue che non doveva scorrere la Biblioteca d’Ateneo. È accaduto ancora una volta ieri: un altro volo mortale, un altro (probabile) suicidio, un’altra vita spezzata nel fiore degli anni lì dove l’esistenza conosce una svolta, perché i ragazzini si fanno uomini e donne, perché il futuro comincia a diventar presente, perché il “mondo dei grandi” di cui fino a poco prima eravamo semplici spettatori inizia a reclamarci come attori protagonisti.

Gigi Casciello, maestro di giornalismo con penna e sensibilità da fuoriclasse, insegna ai suoi allievi che «i suicidi non si pubblicano, perché i drammi delle persone non sono “nostre” notizie». Purtroppo finiscono per diventar tali quando fatti del genere accadono in luoghi dove una morte che meriterebbe solo rispettoso silenzio, specie a 21 anni, fa un rumore del diavolo. Sì, perché la “nostra” Università è luogo che la vita la dà, non la toglie. E allora dinanzi a quell’immagine che ci tormenta l’anima è l’anima stessa a ricordarci cos’era, cos’è e cosa sarà per generazioni di studenti «Fisciano» (la chiamiamo tutti così, facendo arrabbiare chi dice che «non bisogna mai dimenticarsi ch’è l’Università di Salerno»).

Fisciano è la crescita, la meglio gioventù che ti trasforma in adulto. È il posto dove spesso piove ma di cui conserviamo solo ricordi con il cielo azzurro e il sole che scalda le dune. È la distesa dei prati su cui abbandonarsi a pensare, è l’aula vuota che diventa di studio o magari – perdoneranno alla Crusca – di “cazzeggio”, è il corridoio degli incroci improbabili o tanto desiderati. È il pullman che fa tardi, è la paura che ti consuma prima d’un esame e l’abbraccio liberatorio dopo che il prof ti ha “sporcato” un’altra riga del libretto. È un’adunata alla Mensa per una “tavolata” più grande d’un cenone di Capodanno, è una fila lunghissima e a volte saltata, è una forchetta rubata per il compagno “fuori sede” e la tentazione a stomaco pieno di dire «no, grazie» al corso post pranzo, con un “filone” 2.0 che dà un po’ meno brividi di quelli fatti a scuola, ché tanto non hai a chi giustificarlo con un’invenzione. È lo sconosciuto «collega» che diventa amico, magari per sempre, è il luogo del cuore che ti lascia mille “mi ritorni in mente”.

Sì, Fisciano è la vita. Ed è per questa che la morte, lì, fa ancora più male…

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