di DARIO CIOFFI
Premessa necessaria: ignorare la realtà sarebbe peccato di superficialità gravissimo. E allora nel calcio in cui società storiche “scompaiono”, nel silenzio d’istituzioni impegnate da mesi a darsi a una governance, è pure legittimo compiacersi, o almeno sospirare, per il solo fatto d’esistere (senza resistere). Però, pur restando saldamente ancorati a questo punto di partenza, è altrettante doveroso ricordarsi che il pallone è materia anomala. Che fa storia a sé. Almeno nella percezione dell’immaginario collettivo. E se così non fosse, non si spiegherebbe il perché, in un tempo anestetizzato dalla crisi, in cui un giovane qualunque inizia a lavorare – se non gli va neppure malissimo – «a 500 euro al mese e poi si vede», ognuno di noi definisca «stipendio basso» l’ingaggio d’un medio calciatore di serie B se non supera «neanche» i 150mila euro all’anno.
È un esempio che aiuta a comprendere come il calcio sfugga ancora, per certi versi, alla quotidianità spicciola vissuta da ogni appassionato. Preambolo lungo, per entrare nel merito d’un tema dibattuto in questi giorni, a Salerno come altrove. Dopo il Modena, c’è pure il Vicenza sull’orlo del precipizio. Altri pezzettini di storia del pallone in frantumi. «Per fortuna qui c’è una società solida con Lotito e Mezzaroma», si dice all’ombra del Castello d’Arechi. Ed è vero. Oltre che giusto. Nonché condivisibile nella misura in cui l’osservazione resti nel campo della continuità di progetto, non dell’appagamento. Sì, perché una proprietà forte, e tale s’è dimostrata in sei anni scalando dai Dilettanti alla serie B, va vissuta come un’opportunità, non una consolazione.
Del resto, la genesi di questa “nuova” Salernitana è proprio un fallimento. Quello del club retto da Antonio Lombardi nel 2011. Il secondo in cinque anni, dopo il crac di Aniello Aliberti. Insomma, quanto a sofferenze e cancellazioni, affannosi percorsi di redenzione e speranze di ritrovare nuove più consone dimensioni, la storia granata ha già dato. In abbondanza. E qualsiasi tifoso potrebbe raccontarli per giorni quei tormenti, spiegando quanto sia dura risvegliarsi e non disputare campionati conquistati sul campo, o lasciare un Arechi con 30mila tifosi contro il Verona e ritrovarlo dopo due mesi quasi deserto perché c’è da giocare la Coppa di serie D con l’Internapoli.
E allora, senza ignorare il dramma sportivo di Vicenza, dove videro alzar al cielo una Coppa Italia e sfiorare l’impresa d’una Coppa delle Coppe a Stamford Bridge mettendo paura al Chelsea, Salerno oggi può guardare i sogni più chi gli incubi altrui. Non dev’esser inteso come un atto di presunzione. È semplicemente (e finalmente) una reale possibilità…