di FRANCESCO CACCIATORE
Tra la candidatura fantasma di Berlusconi (candidato di simbolo, ma non di fatto), il prepotente ritorno sulla scena della sinistra “a sinistra”, capitanata da Massimo D’Alema, i giudici candidati, le inchieste giudiziarie, e la ricerca giornaliera di una nuova tassa da abolire, in molti hanno commentato la campagna elettorale che stiamo subendo, pardon, vivendo, come un ritorno a quel fatidico anno 1996. Notizie recentissimi da oltreoceano, però, invitano a spostare la lancetta della memoria di qualche decennio indietro, alle prime elezioni repubblicane del lontano 1948.
La notizia, che per la verità non fa che reiterare qualcosa di cui si è parlato spesso nell’ultimo anno, è quella di un rapporto redatto dallo staff del senatore americano Ben Cardin, del Partito Repubblicano, sulle ingerenze internazionali della Russia nella vita democratica dei Paesi europei. Tre pagine sono dedicate all’Italia e alle prossime elezioni, menzionando direttamente la Lega e il Movimento 5 Stelle come i “punti di riferimento” dell’azione di Putin: un attacco fatto di disinformazione, hacking informatico, operazioni clandestine sui social media, ma anche finanziamento diretto ad alcuni gruppi, tra i quali, dice il rapporto, anche la Lega, che avrebbe ricevuto fondi dall’intelligence russa. Più nello specifico, in merito al nostro Paese, il rapporto evidenzia come il crescente consenso dei partiti populisti e anti-establishment sia spesso collegato a una posizione favorevole, di questi partiti, confronti del Cremlino, in tema di rapporti internazionali e sanzioni. In cambio, le campagne mediatiche, spesso fatte di disinformazione e teorie cospirazioniste, si appoggiano ai media russi, controllati dal governo. Viene sottolineato anche il ruolo di queste fonti nella campagna – vincente – effettuata da questi partiti per il “no” al referendum costituzionale del 2016.
Il clima richiama molto quello del 1948, e dei primi anni della Guerra Fredda. L’Italia, che si avviava alle sue prime elezioni repubblicane, era un territorio di importanza strategica fondamentale, conteso fra le due superpotenze, USA e URSS, e in bilico sul ciglio del destino. Il Partito Comunista, cavalcando l’onda della Resistenza e dell’antifascismo, sembrava destinato a vincere, segnando così l’appartenenza del Paese al blocco sovietico. Gli americani, però, stavano proprio in quegli anni progettando un nuovo tipo di conflitto, che non richiedeva lo scontro diretto o l’uso di armi convenzionali: le operazioni segrete (covert operations), ovvero sabotaggio, propaganda, finanziamento illecito a partiti e altri gruppi favorevoli, divennero l’arma di ordinanza nella Guerra Fredda.
Il governo americano, tramite la CIA, consegnò fondi ingenti alla Democrazia Cristiana ed altre forze conservatrici; lo stesso fecero i Sovietici con il PCI. L’influenza delle due superpotenze si sentiva in tutti gli ambiti, dalla politica all’informazione alla cultura. Dwight Eisenhower, 34esimo presidente degli Stati Uniti, la definì alcuni anni dopo come una “battaglia totale per i cuori e le menti” delle persone. Il risultato, nel 1948, lo conosciamo, e segnò il percorso del nostro Paese per i successivi quattro decenni, durante i quali la battaglia continuò con non minore intensità. Oggi, la situazione è simile, eppure alcuni aspetti fondamentali differiscono.
Putin, fino a prima dell’elezione di Trump, aveva posto nuovamente la Russia, in maniera prepotente, sullo scacchiere internazionale come antagonista degli Stati Uniti. Tornando al discorso iniziale, non è un caso che ancora oggi, nei circoli dell’anti-establishment italiano, l’invasione russa dell’Ucraina venga condonata e giustificata sulla base di teorie cospirazioniste. Mentre l’amministrazione Obama si era opposta chiaramente all’azione di Putin (da qui le sanzioni), Trump è su tutt’altra lunghezza d’onda: basti pensare alle accuse di impeachment rivolte al neo-presidente proprio sulla base dei rapporti poco chiari del suo circolo di consiglieri con figure legate a Putin, oppure all’ingerenza, ormai quasi certa, degli hackers russi nell’ultima elezione presidenziale.
Rispetto al dopoguerra, dunque, l’Italia – e l’Europa con essa – non si trova più a dover scegliere fra due patroni, o fra due alternative politiche, economiche ed ideologiche. Se da un lato le forze definite spesso “populiste”, o anti-establishment, quali Lega e Movimento 5 Stelle, si sono prontamente affiliate al Cremlino, le forze moderate, al contrario, faticano a trovare un interlocutore affidabile in Trump o nella sua amministrazione. I motivi di frizione aumentano, e l’Unione Europea sembra trovarsi, per la prima volta nella sua storia, costretta a non fare più affidamento sul partner storico d’Oltreoceano.
Nel frattempo, la disinformazione cresce, e si appresta a contaminare anche le prossime elezioni. C’è da chiedersi se Lega e Movimento 5 Stelle seguiranno un percorso simile a quello del PCI, e avranno una loro Primavera di Praga, un momento del risveglio, di abbandono dell’innocenza, e dell’illusione. Considerando la levatura umana, intellettuale e culturale, ben diversa dei personaggi odierni, c’è ben poco da sperare.