Sul loro gruppo WhatsApp, denominato «’o sistema», se la ridevano di brutto. L’immagine del “profilo” della chat era la foto di un kalashnikov AK47. L’arma delle “stragi”, degli omicidi eccellenti della criminalità organizzata. Dopo il raid messo a segno a Salerno, nella notte tra il 10 e l’11 ottobre scorso, i ragazzi finiti agli arresti domiciliari nel blitz messo a segno ieri dalle forze dell’ordine si vantavano della loro “impresa”.
Condividevano link di siti web e foto di articoli di giornale in cui si dava conto della loro azione. E quasi si “offendevano” del fatto che le cronache di giornata parlassero di “sole” 20 auto danneggiate. «Ma chist c’ stann pigliann sul p’ cul… mo’ doi song e cos… o senn scurdat cocc zero o cocc un annanz». Come a voler dire: altro che 20, ne abbiamo colpite almeno 120, forse 200 («ma numeri così grandi non ci risultano», hanno spiegato gli inquirenti).
«Agg ritt’ che asciv’ ngoppe ‘o giurnal! Ahahah», ironizzavano, soddisfatti nel vedersi definiti «vandali». I giovanissimi di questa “paranza” smascherata dall’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno guidata da Corrado Lembo (clicca qui per la sua intervista), sono tutti di età comprese tra i 18 e i 22 anni. Sono stati individuati grazie alle telecamere che hanno immortalato, mentre scorrazzavano per le strade di Salerno, una Toyota Yaris e una Lancia Y.
Avevano colpito un po’ in tutta la città capoluogo, da via generale Clark, estrema zona orientale, a via Benedetto Croce. Dalle targhe delle loro auto le forze dell’ordine hanno potuto dare, con il trascorrere dei giorni, nomi e volti ai responsabili dei radi. E anche soprannomi. Quelli che usavano in quella chat WhatsApp in cui ostentavano le loro gesta. Non sapevano che sarebbe stato proprio quel gruppo a incastrarli.