di DARIO CIOFFI
Suonavano all’impazzata i clacson degli scooter nell’estate del 2001. Il Comune di Salerno era preso d’assalto, manco fosse stato la Bastiglia. «Ma che r’è?», domandava stupito e un po’ stonato uno di quei “maratoneti” ora come allora a passeggio su via Roma senza meta. Forse era l’unico che non sapeva “cos’era”. «Zemàn! Sta arrivando Zemàn», la risposta – con l’accento a cadere rigorosamente sull’ultima vocale – d’un ragazzo, a inizio secolo poco più che maggiorenne, con la visiera col “baffo” Nike e i calzini alzati a coprire un pantalone acetato coi lacci. Non proprio il massimo dello stile, però all’epoca era abbigliamento che andava forte tra i “ragazzi dei quartieri”. La definizione è di Vincenzo De Luca ma il sindaco del tempo era Mario De Biase. Fu lui ad accogliere il boemo nel giorno del bagno di folla da nuovo allenatore della Salernitana, saltellando con gli ultrà.
Sì, era il giorno della presentazione di Zdenek Zeman, e cioè dell’apoteosi. A due anni dalla retrocessione dal paradiso del pallone, patron Aniello Aliberti aveva rilanciato forte, portando all’ombra del Castello d’Arechi il “maestro di Praga”. E ad abbracciarlo, sull’uscio di Palazzo di Città, si ritrovarono centinaia di persone. «Noi c’abbiamo il boemo che ci porta in serie A» cantavano quei cuori granata che pulsavano forte. Dopo Delio Rossi, salutato nel 1997 dal tripudio della tribuna del vecchio Vestuti gremita come quando giocava Ago, Salerno tornava a impazzire per l’arrivo d’un tecnico che faceva sognare.
Il campionato di B 2001/2002, a raccontarla tutta, finì con un risveglio su un cuscino bagnato. Non fu un torneo anonimo per il cavalluccio marino, sia chiaro. Anzi. La Salernitana chiuse al sesto posto, pari merito con il Bari e nella scia del Napoli, tutte e tre fuori dalla festa promozione che toccò a Como, Modena, Reggina ed Empoli. Risultato discreto al tramonto d’una stagione a tratti esaltante. Era la squadra che cominciò battendo la Sampdoria e continuò con il 4-4 di Cittadella che fece storia, quella che andò a pareggiare al San Paolo con Lazzaro al 94’ e che infilò nel girone di ritorno cinque vittorie consecutive, mettendo nel filotto pure il 3-1 nel derby dell’Arechi con gli azzurri mentre la Curva Sud buttava giù la scenografia dei “10 piani di morbidezza”, applaudita per l’acuta ironia persino da qualche tifoso avversario.
Divertì, quella Salernitana in cui onesti “gregari” come Bellotto, Vignaroli e Arcadio s’inventavano giocate estemporanee da campioni, a mo’ dei Rambaudi, Baiano e Signori ch’erano stati fenomeni nella belle époque di “Zemanlandia” a Foggia. I sogni, comunque, sfumarono sul più bello, lasciando il posto all’incubo che nel torneo seguente avrebbe portato all’ultimo posto in classifica, alla definitiva rottura con la società e all’esonero del ceco a metà del cammino per provare a scongiurare una retrocessione già scritta. E ben poco poté fare Franco Varrella (oggi ct del San Marino), che non riuscì a ripetere l’impresa salvezza compiuta sempre da “commissario d’emergenza” nel 1997. A evitare il ritorno della Salernitana in serie C, comunque, arrivò l’allargamento della B da 20 a 24 squadre, in tempi in cui gli avvocati e i giudici dei Tar valevano più dei bomber.
Eppure, nonostante un’avventura senza lieto fine, il “maestro di Praga” restò nel cuore di tanta gente. Perché Zdenek o si ama o si odia, e da queste parti i primi prevalgono nettamente. Anche adesso che allena il Pescara, l’avversario di sabato ch’è rivale granata dalla notte dei tempi. Storia d’un antagonismo antico, infiammatosi nella seconda metà degli anni Novanta, tra le botte dell’Adriatico nel ’96 e il “tradimento” agli abruzzesi di Rossi. Un girone fa, quando a Salerno sbucò dal tunnel degli spogliatoi il boemo, con il delfino cucito sul petto, partì un lungo applauso. Perché «Zemàn» fa sempre storia a sé….