di DARIO CIOFFI
Nicholas Green aveva sette anni quando perse la vita sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Vittima innocente d’una follia barbara e senza ragione, nell’autunno del 1994. Californiano di San Francisco, era in auto con la sua famiglia quando il destino gli presentò un conto assurdo di per sé, e però che non sarebbe dovuto esser neppure suo. Sì, perché quella macchina noleggiata dal padre venne “confusa” con quella d’un gioielliere e, in un tentativo di rapina, il bimbo finì bersaglio d’un colpo di pistola. Il piccolo morì dopo tre giorni d’agonia all’ospedale di Messina. Lì i suoi genitori decisero di donare tutti gli organi del figlioletto. Un gesto prezioso, che commosse l’Italia, il mondo, ispirando libri e film.
Reginald Green, il papà del piccolo Nicholas, dopo aver letto gli appelli di Mario Bartoli (62enne livornese che nel 1998 perse un figlio di 17 anni e da allora ha chiesto invano allo Stato di poter dare un nome al petto in cui da allora batte il cuore del Christian), ha scritto una lettera ai giornali italiani. E anche a 23 anni di distanza da quella tragedia, consumatasi sul tratto calabrese della Salerno-Reggio, ha riempito di nuovo d’umanità l’anima degli italiani.
«Questo weekend, mia moglie Maggie ed io abbiamo ricevuto un’email. È arrivata da Maria Pia Gentile, la donna siciliana che in punto di morte, 23 anni fa, ricevette il fegato di mio figlio Nicholas di sette anni, che era stato colpito da un proiettile durante un tentativo di rapina. Ci ha scritto per raccontarci la sua felicità per l’accettazione di suo figlio Nicholas, 20 anni, alla Scuola Allievi della Marina Militare di Taranto, il suo sogno sin da quando era bambino. Il fegato trapiantato di nostro figlio ha mantenuto Maria Pia in buona salute per tutti questi anni e, in una famiglia con una storia di malattie al fegato, questa buona salute è stata trasmessa così bene che il figlio ha soddisfatto i rigorosi requisiti sanitari necessari per una vita in Marina – le parole di Reginald –. Maria Pia si è tenuta in contatto con noi, sebbene viviamo in California. Il trapianto non solo le ha salvato la vita ma senza di questo suo figlio e anche la figlia minore non sarebbero mai nati. Per gratitudine, con suo marito Salvatore, decisero di chiamare il figlio Nicholas, scritto alla maniera americana. Abbiamo conosciuto Maria Pia e gli altri sei riceventi degli organi perché il nostro Nicholas venne ucciso prima della Legge del 1999 che proibisce al personale sanitario di divulgare le informazioni sulle parti coinvolte in un trapianto. Da allora, le famiglie dei donatori e i loro riceventi in Italia non hanno la possibilità di incontrarsi, salvo che a seguito delle circostanze più insolite. (…) Vedere con i nostri occhi come persone che erano vicine alla morte hanno già avuto ulteriori 23 anni di vita è il miglior tonico che potessimo avere. E anche i beneficiari sono rasserenati, vedendo che non ce l’abbiamo con loro perché sono vivi solo grazie alla morte di Nicholas».
Una splendida lezione di vita. Un altro, l’ennesimo, “dono di Nicholas”.