Era sopravvissuto a uno dei sequestri di persona più famosi d’Italia, che ispirò libri e film. È morto a 83 anni, portando con sé la storia d’un inferno durato 237 giorni (prima della liberazione costata alla sua famiglia il pagamento d’un riscatto da 5 miliardi di vecchie lire). Nel ventennale di quel “lieto fine” (la prigionia finì il 9 febbraio del 1998) è deceduto l’imprenditore tessile bresciano Giuseppe Soffiantini.
Venne rapito il 17 giugno 1997 dall’Anonima Sequestri e quel fatto di cronaca è poi diventato un pezzo di storia del Paese. Venne prelevato dalla sua casa di Manerbio, portato via da una banda capeggiata da un ex pastore romagnolo e da altri due uomini, entrambi cesenati. Dopo aver legato e imbavagliato la collaboratrice domestica e la moglie, Adele Mosconi, i banditi caricano a forza Soffiantini su un’auto guidata da un quarto uomo, residente a Perugia. Emersero poi anche le figure di un basista e due “carcerieri”, che tennero ostaggio Soffiantini in diversi covi tra le montagne toscane. Solo dopo un tentativo di fuga, molteplici problemi di salute, la morte dell’ispettore dei Nocs Samuele Donatoni in un fallito colpo di mano contro i rapitori a Riofreddo e il taglio della cartilagine di entrambe le orecchie (una delle quali venne recapitata con una lettera negli studi del Tg5 e la missiva fu letta in diretta da Enrico Mentana) i sequestratori rilasciano Soffiantini che venne ritrovato il 9 febbraio 1988, dopo 237 giorni di prigionia e previo pagamento di un riscatto di 4 milioni di dollari Usa, 5 miliardi di lire dell’epoca.
Nel 2007 Soffiantini raccolse in un volume, a sue spese, le poesie scritte da uno dei suoi carcerieri, Giovanni Farina, proprio l’uomo che durante la prigionia gli tagliò un orecchio. «Mi sembrava giusto dare una possibilità a chi paga il suo errore con il carcere», dichiarò Soffiantini, sottolineando: «Non sono Dio, non devo perdonare nessuno. Mi limito a non odiare».