di DARIO CIOFFI

Pioveva forte, su Salerno, il 13 aprile d’otto anni fa. Di martedì. A ricordarlo oggi, resta uno dei giorni più tristi della quasi secolare storia granata. L’ultima volta di Empoli-Salernitana al Castellani è una ferita sanguinante nella memoria, che non si ferma a un esito del campo che fu mortificante, portando con sé la sentenza definitiva d’una retrocessione in serie C (all’epoca appena ribattezzata Lega Pro) annunciata da tempo. Sì, perché poche ore prima del fischio d’inizio di quell’effimera sfida in Toscana, in un surreale pomeriggio della primavera del 2010, all’ombra del Castello d’Arechi si consumò una delle più solenni e riuscite manifestazioni di partecipazione collettiva, al vecchio stadio Vestuti, che da antico teatro d’epiche battaglie calcistiche si trasformò per un’ora in una chiesa a cielo aperto piena di fedeli e però senza sacerdote sull’altare. Andò in scena così l’ultimo saluto a Carmine Rinaldi, per tutti «il Siberiano», leader storico degli ultras dell’ippocampo, prematuramente scomparso il mattino del giorno prima. E così, per rendergli il giusto omaggio, amici, tifosi e tanti concittadini scelsero il luogo di sempre, i gradoni della Curva Nuova, la Sud di piazza Casalbore, dove uno dei pionieri della South Force aveva scritto pagine leggendarie della torcida.

Pioveva forte, su Salerno, e però al Vestuti accorsero migliaia di persone da ogni dove. “Il nostro addio è un arrivederci, salutiamo «il Siberiano»”, c’era scritto sullo striscione che sovrastava i cancelli, mentre il feretro di Rinaldi, avvolto da decine di sciarpe granata e portato in spalla dai suoi compagni d’una vita, sfilava tra cori e fumogeni. Fu un pomeriggio d’emozione, che si mischiò al dolore per la scomparsa di Carmine e anticipò la funzione religiosa. Alcuni, tra i tanti presenti sui gradoni di piazza Casalbore, non persero di vista l’orologio. Perché alle otto e mezzo della sera la Salernitana giocava a Empoli, e sebbene quella partita contasse nulla, nella storia d’un campionato disastroso per il cavalluccio marino, toccava esserci. Per onor di presenza e per portare anche lì, sugli spalti del Castellani, lo striscione dedicato al «Siberiano».

Pioveva forte, su Salerno, eppure una delegazione di supporters partì per la Toscana. I granata d’Ersilio Cerone – che da tutor d’un Gianluca Grassadonia non ancora “patentato” a Coverciano s’era ritrovato a esser allenatore solo al comando, chiamato a chiudere quella stagione d’inferno iniziata con Fabio Brini, continuata con Marco Cari e poi con l’ex tecnico della Primavera, tutti esonerati – illusero con una partenza sprint. Federico Dionisi portò in vantaggio la Salernitana, e Ciccio Caputo, che domani (ri)giocherà la stessa partita otto anni dopo a maglie invertite, segnò il gol del raddoppio. Impennata d’orgoglio al tramonto d’un anno fallimentare? Macché, da lì in avanti si scatenò Eder – l’attaccante oggi dell’Inter – segnando quattro volte, prima che nel finale Marianini mettesse dentro la rete della staffa. Finì 5-2 per i biancazzurri di Vannucchi e del tecnico Campilongo, e quella sconfitta sancì l’aritmetica certezza della retrocessione della Salernitana in terza serie.

Pioveva forte, su Salerno, e quel martedì d’aprile del 2010 passò alla storia come il giorno in cui i granata salutarono la B e «il Siberiano»…

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