di DARIO CIOFFI
In così tanto mondo, c’è solo un posto in cui il centenario d’una squadra di calcio possa durare due anni. O forse addirittura di più. Sarà ché il pallone non è uguale per tutti, affatto, e da queste parti è profondamente diverso rispetto a come viene percepito e vissuto altrove. È Salerno, signori, con i suoi ostinati e orgogliosi eccessi, una città, una provincia, un popolo sparso per il mondo capace di riconoscersi nella Salernitana come in nessun’altra cosa.
È lo spirito identitario che va oltre i risultati del campo, che a raccontarla tutta hanno regalato più amarezze che trionfi, più aspettative disattese che sogni coronati, e però senza mai smarrire l’autentico e viscerale attaccamento d’una comunità che affida al calcio, e alle sue magliette granata, un pezzo importante d’una quotidianità che in (tanti) altri settori ha pochi motivi per sorridere. È così che il pallone diventa il riscatto o semplicemente il sollievo e che restituisce la semplicità d’una passione in un tempo complesso.
E allora, all’alba del centenario, chi un giorno (ri)scriverà la storia dell’Unione Sportiva Salernitana 1919 si ricorderà non solo della prima serie A e della sfida al Grande Torino, del tripudio per la B riconquistata a L’Aquila o dell’apoteosi del Vestuti nel ’90, della finale playoff di Napoli e del salto in “paradiso” sfiorato a Bergamo e Pescara ma poi arrivato finalmente nel ’98, della rinascita post fallimenti e del prepotente ritorno sulla scena degli ultimi setti anni. La Storia, quella con l’iniziale maiuscola, sarà pure, o forse soprattutto, nella narrazione del modo di vivere il calcio da parte della gente: una città che si ferma quando gioca la propria squadra, uno stadio che canta fierezza mentre in campo i granata vengono sconfitti e presi a pallonate, una fede che s’ostenta ovunque e che si tramanda per generazioni nel rispetto dei suoi simboli, del suo passato, dei valori che porta con sé.
È il senso vero del 19 giugno, il giorno della festa d’una “signora” che compie 99 anni…