di DARIO CIOFFI
Di Ronaldo, che si compra, si paga e si vende da sé, contando e dividendo ricchezza, ce n’è uno solo. Il resto del calcio è in un buio profondo. E la fine di piazze come Bari e Cesena (ci metterei anche Reggio Emilia) non può morire nel silenzio. Bari è da anni lo stadio che produce più spettatori in B, Cesena non andava mai sotto gli 8mila abbonati. Vuol dire che il botteghino da solo non basta, ma neanche per niente, che il sistema crolla e che forse, oltre la demagogia del paragone CR7-operai, populista e strumentale come la moda del tempo in cui viviamo, occorrerebbe che anche i protagonisti – tutti – di questo mondo si fermassero a riflettere e rivedessero i propri parametri. Di sostenibilità, di spesa, di guadagno. Il calcio in Italia ha un valore enorme, economico e morale, storico e sociale, ignorare queste macerie e continuare a passeggiarci sopra significa contribuire a bucare un pallone già sgonfio.
Un “in bocca al lupo” a chi oggi ha perso la sua squadra (la ritroverà, anche se in categorie e con matricole diverse, perché i patrimoni popolari valgono più dei debiti, della Covisoc, delle Procure e degli avventurieri). E una speranza da girare a chi questo gioco lo governa (eletto, auto proclamatosi o commissariato): prevenire questi disastri, o almeno provarci, tutela la gente. Si faccia subito. È già (troppo) tardi.