di DARIO CIOFFI

«State of mind»: sereni e sicuri. Ognuno è al suo posto. Il resto vien da sé. Logico, per chi “fa questo da una vita”. Una volta, quando “c’era scenografia”, in Curva erano tutti un po’ nervosi. Ché certi “giganti” non vengon mica giù da soli. Tensione, adesso, è parola quasi sconosciuta. È tutto tremendamente e perfettamente collaudato.

Sia chiaro, alle spalle c’è un lavoro immane, perché se non dedichi i giorni e le notti che ci vogliono non arrivi mai alla meta, però quel che sorprende, almeno nella percezione che dà all’esterno, è la tranquillità con cui la Sud prepara il suo retroscena. Non c’è dettaglio che sfugga, non c’è “pedina” che non sia dove dev’esser, non c’è tempo che non si rispetti, non c’è millimetro che resti scoperto. Non un graffietto sui teloni, non un cartoncino che s’alzi uno scalino più su di dove dovrebbe stare. A (ri)vederla nella sua completezza, composta in 50 secondi “applauso di Gigi” compreso (il segnale dello scenografo, da bordo campo, ch’è andato tutto come doveva), faresti fatica a immaginare di renderla così anche al Photoshop, pure se nella vita reale ti manca la “doppietta” Mela/Z se c’è un errore da cancellare.

Salernitana-Palermo è la prima partita del campionato del Centenario: la Curva Sud Siberiano la saluta raccontando la sua «mentalità», ch’è l’espressione d’un modo di vivere e sentire il calcio per un popolo intero, della passione, della febbre granata che sale. Lo «State of mind» di Salerno, appunto, ch’è concetto che va (molto) oltre una traduzione letterale da visita psichiatrica. Gli ultras granata avevano promesso di salutar quest’alba dei cent’anni a modo loro, e l’hanno fatto con uno spettacolo che meriterebbe un altro biglietto (ma la gente è gratis, scriveva pure il grande Bukowski). Per l’inventiva del tema (mica solo «Paganini non si ripete»), per l’originalità nel trovar sempre qualcosa in più con cui arricchire una suggestione di per sé fortissima. Sabato scorso la Curva “fumava” dall’alto e quei nuvoloni granata erano gli elementi di chiusura d’una cartolina dai bordi neri con corone d’alloro e il richiamo al 1919, la data in cui cominciò tutto nella riunione dei pionieri della vecchia Unione Sportiva, al fu Corso Umberto I.

Imponente, bellissima, la scenografia numero uno della stagione “secolare” colpisce per la semplicità con cui si offre agli altri 7mila dell’Arechi (6mila sono nella Sud) e al resto del mondo che la guarda da ogni dove. Agile, veloce, perfetta. Un barman che fa cocktail da una vita ci metterebbe più tempo a servire un Mojito, ché c’è da pressar bene la menta. Qui no: tutto rapido, quasi automatico. Perché l’esecuzione è la specialità della casa, non di meno la preparazione di cui c’è un’istantanea nel riquadro della foto: i protagonisti danno le spalle non per cattiva educazione ma perché questi show non vogliono “volti”, sono l’apoteosi della condivisione, nascono per diventar “di tutti”, compresi i calciatori della Salernitana – soprattutto i nuovi – che da due giorni inondano i social mostrando agli amici che il calcio non è uguale per tutti. «State of mind». Appunto…

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