È una ferita ancora aperta nel cuore e nella memoria d’ogni cittadino campano. E ogni 23 novembre riprende a sanguinare. Accadde oggi, 38 anni fa. L’autunno infernale del 1980 fermò il tempo una mezzoretta dopo le sette della sera d’una domenica bestiale: le ore 19,34 per la precisione. La Salerno sportiva aveva da poco lasciato il vecchio stadio Donato Vestuti (che sarebbe poi diventato punto di ritrovo per centinaia di auto) dove aveva assistito al match tra i granata la Turris, salvato in extremis da un gol del bomber pugliese Giovanni Zaccaro, mentre la serie A quel giorno proponeva il derby d’Italia Juventus-Inter.
La terrà tremò ininterrottamente per un minuto e mezzo. Un’eternità. E devastanti furono gli effetti per le province di Avellino, Salerno e una parte del Potentino. Case, scuole, chiese ed edifici si sbriciolarono come castelli di sabbia, lasciando sotto le macerie migliaia di vite umane. Il bilancio di quel terremoto (magnitudo 6.8) fu raccapricciante: 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Una catastrofe senza fine, che mise in ginocchio una parte del Paese.
Perché la tragedia del sisma del 1980 s’è trascinata per decenni, restando sulla pelle di generazioni di popolazioni colpite. Oggi, dopo 38 anni, c’è ancora chi ne “paga” le conseguenze, dopo che altri ci hanno speculato. E così, nel cuore, oltre al sangue della ferita, scorre pure un po’ di vergogna.