di STEFANO MASUCCI

Un solo pensiero in testa. Il pallone. Arrivato appena 13enne, senza niente, ma con la voglia di fare quello che più gli piaceva, giocare a calcio. E che faceva anche in Costa d’Avorio, da quando aveva 6 anni, prima di scappare. Dalla guerra, dalla povertà, da un destino che troppe volte sembra segnato. Moussa Traore è sbarcato in Italia nel maggio del 2017, non aveva praticamente nulla con sé; una bottiglietta d’acqua, una coperta, alcune salviette e poco altro. Oggi che ha 15 anni ed è appena stato tesserato dalla Cavese, può finalmente iniziare a sognare un futuro migliore, magari perché no, fatto di pane e pallone. Ché da queste parti il calcio è sì una religione, ma ad altre latitudini può diventare anche un appiglio, una speranza, qualcosa cui aggrapparsi anche nei momenti più bui.

Avvolto in una coperta, era uno dei più piccoli fra le decine di immigrati giunti a Salerno a bordo di una Ong, poche parole, sguardo impaurito. E’ stato affidato alla comunità alloggio “Porta di Mare”, gestita dalla Cooperativa Sociale “Il Villaggio di Esteban”, per lui riavvicinarsi a un pallone è stato più facile del previsto. «Fin dal suo arrivo in comunità, così come molti dei ragazzi stranieri da noi accolti, Moussa ha manifestato la volontà di giocare al calcio. A differenza degli altri, però, lui lo ha sempre fatto in maniera “silenziosa”, forse conscio delle sue qualità tecniche, che non aveva bisogno di sbandierare. La classe dei campioni…», racconta Carlo Noviello, presidente della cooperativa. Pochi mesi dopo arrivano i primi allenamenti con la Millenium, scuola calcio di Salerno gestita da Luciano Carafa, ex bandiera della Cavese.

Il tesseramento tarda ad arrivare a causa di alcune beghe burocratiche, ma l’esperienza è fondamentale per Moussa. Le prime amicizie, i primi confronti con una lingua nuova, le prime giocate degne di nota. Il suo impatto è subito positivo. Tanto da indurre il recordman di presenze con la casacca bluefoncé a segnalare il giovane ivoriano all’attuale società metelliana. Qualche allenamento la scorsa estate, un’amichevole contro la prima squadra che è valsa come biglietto di visita, e il passaggio definitivo alla compagine di patron Massimiliano Santoriello, da sempre in prima linea quando si tratta di calcio giovanile. «E’ un ragazzo serissimo – fa sapere il patron-, non salta un allenamento, si è subito integrato con gli altri compagni di squadra, al momento lo stiamo utilizzando da mezz’ala sinistra. Spesso il mondo del calcio viene tacciato di dare esempi negativi, ma in campo parla il pallone, non il colore della pelle». Una volta scelto l’indirizzo della scuola superiore da frequentare, Liceo Scientifico Severi, indirizzo sportivo (manco a dirlo), per Moussa è arrivata la gioia più grande. Quella del tanto agognato tesseramento, cui Santoriello si è impegnato in prima persona recandosi a Firenze alla Figc, permettendo finalmente al ragazzo che sogna un giorno di giocare nel Napoli imitando i suoi idoli Insigne e Allan, (anche se il suo calciatore preferito è il mancino per eccellenza, Leo Messi), di disputare incontri ufficiali. Under 17 regionale, una piccola grande conquista. Dopo amichevoli e provini, un campionato vero. Una presenza da subentrato e un piccolo infortunio al ginocchio che ha solo momentaneamente fermato la sua ascesa. Perché Moussa ha qualità importanti. «E’ un ragazzo di grandi prospettive», fanno sapere dalla società, «Ogniqualvolta ho avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno dei tecnici che avevano la possibilità di visionarlo, ho scoperto che rimanevano impressionati, scorgendo fin da subito il passo differente rispetto agli altri ragazzi, – aggiunge Noviello-. Questa esperienza con la Cavese spero dia a Moussa tutte le possibilità che merita e che questo rappresenti per lui il primo passo. E non mi riferisco solo alla possibile carriera calcistica, ma al suo intero percorso di vita. Credo che questo sia davvero molto importante, soprattutto nell’Italia di oggi». Ché da queste parti il calcio è sì una religione, ma ad altre latitudini può diventare anche un appiglio, una speranza, qualcosa cui aggrapparsi anche nei momenti più bui.

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