di SABATO ROMEO
“Parliamo di una piazza ambita e che vuole sognare. La Salernitana è e sarà il mio Real Madrid“. Il bigliettino da visita di Stefano Colantuono, presentato 371 giorni fa nel ventre dell’Arechi durante la sua prima conferenza stampa da allenatore granata, ancora riecheggia nella testa dei tanti affezionati alla squadra granata. Una scelta applaudita da tutti, con parole che fecero scoccare la scintilla dopo gli ultimi risultati altalenanti targati Bollini. Un passo deciso, come il contratto biennale con opzione per il terzo anno in caso di quella serie A accarezzata nei pensieri e nelle ambizioni. “Non sono venuto per svernare, c’è voglia di fare bene e di costruire qualcosa di importante”.
Un leitmotiv ripetuto in quella rincorsa ai playoff trasformatosi ben presto in un miraggio, tra fischi, contestazioni, fratture quasi insanabili in attesa dell’estate del giudizio. Quella che Colantuono ha deciso di vivere tra la gente di Salerno per toccare con mano il calore e la passione, nell’anno del centenario carico di aspettative e, giocoforza, di pressioni da gestire con cura, da usare come sprone e mai come scusa, per regalare alla piazza quel sogno trasformatosi in possibilità con un timoniere come Colantuono. “Conoscevo il calore che può dare questa città, eppure non immaginavo un’iniziativa così bella. Dipendesse soltanto dal pubblico, la Salernitana sarebbe in serie A da una vita”, raccontò con gli occhi lucidi lo scorso 19 giugno, quando la spiaggia Santa Teresa si trasformò in un vulcano di emozioni e speranze per festeggiare il 99esimo compleanno della “Signora” del calcio cittadino.
“I tifosi ci chiedono di fare un campionato competitivo e noi faremo di tutto per accontentare i loro desideri. Entriamo nel centesimo anno di vita e non possiamo fallire”, le parole dettate al microfono e ripetute anche nel caldo di Rivisondoli, mentre la squadra prendeva forma e in città ci si attrezzava per realizzare un’impiantistica sportiva adeguata. Segnali positivi che arrivavano anche dal mercato, chiuso con gli arrivi di Djuric e Jallow, coppia gol sulla carta da primi posti e del “big” Di Gennaro. Colpi che hanno fatto fatica a carburare. Ma anche senza il loro zampino la Salernitana e Colantuono si erano accesi con una partenza che aveva permesso ai granata di entrare in pianta stabile nei playoff. Il successo sullo Spezia del 10 novembre scorso aveva aperto le porte alla tanto temuta sosta con una classifica “oltre ogni rosea aspettativa”. I ventuno giorni di pausa potevano risultare utili per mettere benzina nel serbatoio, smaltire ogni tossina e prepararsi ad un dicembre di fuoco.
Ed invece la Salernitana è crollata e ha bruciato quanto di buono era riuscita a costruire. A Cittadella il primo stop con tanto di strigliata alla squadra. Con il Brescia la rivoluzione tattica ha spalancato le porte a una figuraccia senza precedenti. “A rischio? Mi sono sentito in questo status cinque minuti dopo aver firmato”, commenterà Colantuono scuro in volto e con testa altrove. Per qualche minuto anche lontano dalla panchina della Salernitana, traballante da far paura e talmente pesante anche per spalle esperte come le sue. Carpi poteva essere la tappa per riprendere la rotta perduta. E, invece, ha rappresentato la fine dell’avventura di Colantuono sulla panchina dell’Arechi, congedatosi con un passo indietro, le dimissioni e i migliori auguri. Un ultimo atto ch’è una carezza per la piazza di Salerno.