di DARIO CIOFFI

Quel gol fu come un diamante. Per sempre. E così, quando al risveglio in una domenica mattina senza sole Salerno ha saputo che Phil Masinga non c’era più, la mente ha fatto un viaggio a ritroso di quasi 22 anni. A spasso nel tempo, fino al 25 maggio del 1997. All’Arechi la Salernitana affrontava il Castel di Sangro dei miracoli, la società di Gabriele Gravina che oggi fa il presidente della Federcalcio.
Doveva vincere, senza “se” né “ma” il cavalluccio marino, per non rischiare di retrocedere in serie C. Stadio gremito, biglietto a mille lire per le donne. Però porta di Lotti (numero uno degli abruzzesi) stregata. Non passavano, i granata, e allora a metà secondo tempo Franco Varrella sfilò Alessio Pirri, per giocarsi la carta Masinga. Era rientrato di fretta da Londra, dove aveva giocato contro l’Inghilterra con la sua Nazionale del Sudafrica: «Ci organizzammo con il presidente del Bologna, Giuseppe Gazzoni, che aveva un aereo di proprietà. Lo convinsi a prestarcelo per far tornare Phil in tempo per la partita», ricorda con la morte nel cuore Nello Aliberti, patron di quella Salernitana.
Giocò scarsi 25 minuti, quella domenica pomeriggio, l’attaccante con la maglia numero 27. Ma se li fece bastare. Schiacciò lui, di testa, il pallone dell’1-0 all’88’ e così scrisse la storia, facendo esplodere di gioia l’Arechi e regalando al cavalluccio marino un’altra stagione in serie B, che sarebbe poi stata – anche se andò via – quella del trionfo, della promozione in A.
È la rete che da ieri fa il giro dei social, ma Masinga ne realizzò altre tre, pesantissime, in un campionato di grande sofferenza in cui riuscì a entrare nel cuore della gente. “Ha la maglia dei granata e tutto il resto fa da sé, non conosce la paura né il dolore sa cos’è…”, recitava il coro dedicatogli dagli ultras.
Nella torcida, ancor prima che in squadra, doveva rimpiazzare nientemeno che bomber Giovanni Pisano, il capitano che se n’era andato al Genoa. Impresa titanica, soprattutto perché a Salerno non passava lo straniero. Quell’anno, il primo post sentenza Bosman, gli olandesi Jansen e Ferrier, portati in granata dal non ancora “re dei procuratori” Mino Raiola, avevano spinto il boom dei 14mila abbonati ma non la squadra del poi esonerato Franco Colomba, e anche Tiatto, l’australiano del video-show in cui segnava con il mancino da ogni posizione, non aveva fatto meglio dei due orange (tanto che in Curva Sud comparve un emblematico striscione: “Se gli acquisti si fanno in videocassetta, comprateci Cicciolina”).
Masinga, invece, fece la sua strada da solo. «All’inizio – ricorda ancora Aliberti – incontrò grosse difficoltà a Salerno perché dopo poche apparizioni fu bollato come uno che poteva al massimo vendere le banane. Dopo un paio di mesi, Phil voleva andar via. E non per il razzismo, soltanto perché veniva messo in discussione come calciatore. Nel frattempo gli mettemmo a disposizione un’insegnante per fargli imparare la lingua e chiesi alla moglie di convincerlo a restare. Lei ci riuscì e Masinga ebbe modo di dimostrare tutto il suo valore, come uomo e come calciatore».
È morto a soli 49 anni, dopo una lunga malattia, l’attaccante di quell’indimenticabile salvezza granata, che spiccò poi il volo verso Bari. L’hanno ricordato, in note ufficiali, la Salernitana di oggi e l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Enzo Napoli. Ma soprattutto la gente. Tantissimi tifosi. Su tutti, quelli che nella fatidica domenica di maggio del 1997 erano sugli spalti dell’Arechi, ad abbracciarsi e piangere di gioia per il gol della salvezza. Come un diamante. Masinga per sempre…

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