di DARIO CIOFFI

Un tifoso brillante e dalle osservazioni sempre acute, nei secoli fedele pure se ultimamente un po’ arrabbiato (e se vi va togliete pure quell’«un po’»), l’altra mattina l’ha buttata sulla tradizione: «Ci sono due certezze nella vita. Una è la morte. L’altra è la Salernitana che batte l’Ascoli». L’aveva detto pure prima che il Benevento passasse al botteghino dell’Arechi e si prendesse l’incasso, così che stavolta, all’alba della trasferta al Del Duca, il suo pronostico era meno credibile. Lui ce l’ha di brutto con la società quest’anno, e l’altra mattina nel leggere – intervista de Il Mattino – la revisione storica di patron Lotito sul «90% della storia» granata «in serie C» è partito per le Marche che se gli davi un morso restavi avvelenato.

La tesi d’un «ambiente ostile» è poco credibile, è improbabile e, con una squadra che dovrebbe mirare (almeno) al sesto posto e ch’è a quasi tre-quarti del campionato fuori dai playoff, vien giù da Marte chi si aspetta entusiasmo coinvolgente. Un pizzico di pessimismo in meno, invece, farebbe benissimo. Ma questo è dibattito, e fa a pugni con l’ostinata affermazione dell’amore per le rispettive tesi (al tramonto della settimana di San Valentino, poi…).

Ad Ascoli, comunque, la Salernitana ha vinto. Una gara complicata, su un’altalena d’emozioni, dopo troppe giornate d’una noia invincibile. Marchigiani avanti al pronti-via, però Calaiò li ha ripresi subito. Sì, Calaiò, l’arciere che scocca ancora frecce a 37 anni, perché chi ha fatto gol per una vita non può certo dimenticarsi come si fa in sei mesi vissuti nella penombra d’una (discutibile) squalifica. «È vecchio», si diceva, e l’ha ripetuto lui stesso, nel giorno in cui s’è presentato in granata, che quest’etichetta è una sfida. Così ha fissato l’obiettivo: quota 200 (gol), e se vi va giocateci pure sul paragone con la “quota 100” dei pensionati di cui parla un giorno sì e l’altro pure il ministro Salvini, l’arciere starà al gioco.

Calaiò lì davanti è stato un po’ come il compagno di banco che Jallow aspettava da mesi. Nel banchetto singolo, abbandonato a sé in prima fila, il gambiano se ne stava triste, a volte irritante. In buona compagnia, un girone dopo la sua prima e unica rete contro il Verona (prossimo avversario), ha addirittura fatto doppietta. Nel mezzo, la storia della partita ha raccontato l’ennesima zampata di Casasola per l’1-2, e poi, dopo esser andati all’intervallo sull’1-3, il tentativo di reazione dell’Ascoli, che s’è rimesso in gara (2-3) e ha seriamente rischiato di pareggiarla. Non ci è riuscito perché la buona sorte s’è alleata con Micai, tornato a esser il portiere delle parate provvidenziali e non più quello che otto giorni prima se l’era buttata dentro da solo. Il resto l’ha fatto Ganz, nome di battesimo Simone Andrea, ch’è figlio ma evidentemente non erede di Maurizio («e segna sempre lui!») e prima s’è divorato almeno un paio d’occasioni ghiotte, poi ha servito il digestivo del match mentre si temevano altre portate, regalando l’espulsione che ha di fatto anticipato il brindisi della staffa di Jallow.

Finale 2-4. Zona playoff più vicina per la Salernitana (sarebbe stata agganciata, l’ottava piazza, se Melchiorri all’ultimo respiro non avesse permesso al Perugia di sbancare Carpi) e 350 tifosi del cavalluccio marino risarciti moralmente dell’ennesimo atto d’amore.

Già, i tifosi. «Solo gli ultras vincono sempre», si dice, e per sacrifici, passione e chilometri che macinano c’è da esser d’accordo. Solo che all’ombra del Castello d’Arechi s’è messo in discussione anche questo. Sì, perché nel tritacarne dell’opposizione alla triade Lotito-Mezzaroma-Fabiani, ovviamente nella scia dei giornalisti colpevoli di non fare le giuste domande (e se a non soddisfare fossero le risposte?), son finiti pure gli ultras, nel mirino della contestazione perché rei di non contestare (il gioco di parole è voluto). E così, nell’agorà dei social, su post realizzati per invocare una Curva che contesti, impazzano foto delle scenografie più belle della Sud, dimenticando che a realizzarle son stati gli stessi (ultras) che vengono contestati perché non contestano.

Ché tanto, se la Salernitana vince è la vittoria di tutti gli innamorati, se invece perde è la prova che conferma i limiti della squadra costruita da Fabiani e delle (non) ambizioni di Lotito e Mezzaroma (se pareggia, “dipende”). Così, nel calcio ch’è per antonomasia il regno dell’«abbiamo vinto» e «hanno perso», c’è chi riesce a vincere sempre. Anche con la stessa squadra. Pure se è (ancora) fuori dai playoff…

 

(foto di Nicola Ianuale tratta da UsSalernitana1919.it)

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