di DARIO CIOFFI
Foggia, gelo. Neve qua e là. Cominciano i Cadetti. Sì, i Cadetti. E per me che più o meno ogni giorno scrivo di calcio pare un’ossessione. Ché – sapete – i cadetti, con l’iniziale minuscola, nello stereotipato linguaggio pallonaro sono per convenzione i club partecipanti alla serie B, la categoria in cui gioca la Salernitana, cent’anni (tra qualche mese) d’ineguagliabile passione popolare che da un po’ vive il tormentone d’un’esistenza da “figlia minore”: il co-patron, Lotito, è già presidente della Lazio, quindi dovrebbe lasciare la sua seconda società in caso di promozione perché non può avere due squadre in A, così che a Salerno, la città in cui vivo, dove il risultato d’una partita può orientare le vite, figurarsi le giornate, ad ogni sconfitta (fenomeno non raro) si ripropone lo slogan del “tanto vuole restare in B”. Insomma, cadetti per sempre…
I Cadetti con l’iniziale maiuscola, però, sono altri. Sono i ragazzi under17. L’Europeo giovanile di scherma, Foggia2019, lo aprono loro.
È la prima volta che ne vedo uno dal vivo, d’Europeo (ne arbitrai uno Master, fu bello, ma qui è un’altra cosa). C’è tutto il Vecchio Continente. I Paesi che la scherma l’hanno inventata, dominata e caratterizzata, così come altri che la vivono da emergenti. Di tutto un po’.
C’è “casa Italia”, una saletta riservata nel bel mezzo del padiglione principale della kermesse. Lo spirito d’una squadra che vince si respira lì. Acqua, caffè, merendine. Tecnici delle armi, medici, terapisti. Maestri, sacche, panni sporchi. Telefonini, portafortuna, paure. Baci, sguardi, pianti. In quell’angolo neppure troppo nascosto del complesso fieristico, in dieci giorni, si consuma tutto quel che c’è dietro un “attaccotocca” (tutto d’un fiato come un hashtag), una “parata e risposta” e un Inno di Mameli suonato in onore proprio e d’altri azzurri nella sala delle finali.
Credevo, all’alba del mio 27esimo anno da tesserato FederScherma (da poco più che anonima comparsa in vari ruoli), che il segreto fosse più o meno tutto nella bravura, nel talento: atleti in gamba, maestri capaci di trasmettere. Sì, conta molto. Però in una spedizione che vince c’è pure (tanto) altro. Te ne accorgi in quel rifugio di “casa Italia” dove ad ogni domanda si cerca una risposta. Prima d’un match che conta, dopo una vittoria, nell’umanissima disperazione d’una sconfitta. Lacrime, abbracci, interviste rinviate. Battute geniali per rompere l’amarezza: “A che turno hai perso? Aspetta, controllo”… “No, no. Ti dico io: per entrare nel palazzetto”.
Belli, i Cadetti. Generazione sempre con il telefonino tra le mani, certo, ma queste sono osservazioni “da vecchi”, noi facciamo lo stesso! E poi, come noi alle gite scolastiche d’una volta, la sera un po’ di chiasso nel corridoio dell’hotel. Meravigliosi momenti d’un’adolescenza che non si dimenticherà mai.
Ché poi in pedana i ragazzi fanno incetta di medaglie. E i Giovani che arrivano dal sesto giorno in avanti, gli under20, continuano a colorare d’azzurro il podio delle sette della sera. Quasi tutti, siccome si gioca in casa, si son portati il maestro da casa. A prima vista, con i ragionevoli dubbi d’un giornalista che cerca sempre una notizia, penso a una “convivenza non semplice”: come se il ct Mancini, in panchina, avesse alle spalle Ancelotti a suggerirgli come spostare Insigne per esaltare le qualità d’Immobile che invece ha con sé Simone Inzaghi. E invece…
I maestri “convocati” sono in prima linea, quelli al seguito degli “atleti del cuore” defilati e discreti, vivono un giorno da primi tifosi. Sono i tecnici dello staff, più volte, a cercarli e confrontarsi, sapendo che nessuno conosce quegli atleti come chi ci lavora quotidianamente. Persino nella sequenza degli abbracci, i ragazzi rispettano le gerarchie delle convocazioni. Però poi, quando arriva il momento della premiazione, gli “ufficiali” si sfilano e porgono la felpa di rappresentanza ai maestri al seguito, ché tocca a loro andare ad accompagnare i propri allievi sul podio. Senza retorica, scene bellissime.
Numeri alla mano, questi Campionati Europei Cadetti e Giovani Foggia2019 per l’Italia si chiudono con la vittoria del medagliere (nove volte d’oro, sei d’argento e dieci di bronzo) e la certezza che tra under17 e under20 la scuola azzurra sia un’autentica e inesauribile fucina di talenti, pronti al grande passo per diventar campioni.
Ma questo lo sapevo già. A vederli un po’ più da vicino, invece, ho scoperto “il segreto”, o almeno il “motivo”…