di DARIO CIOFFI
Saliamo su quel treno da vent’anni, ogni maledetto 24 maggio. E ogni volta speriamo – scioccamente, inconsapevolmente – che quel destino ormai scritto come storia sulla pietra possa cambiare. Perché troppo atroce, inaccettabile e assurdo è il ricordo lasciatoci da quel giorno.
Saliamo su quel treno, perché la coscienza d’un tempo senza memoria ce lo impone, ce lo ordina, e vorremmo scappar via prima che sia troppo tardi. Sì, prima che Simone Vitale si lanci tra le fiamme per rispondere alla chiamata del suo cuore da vigile del fuoco. Prima che Ciro Alfieri ed Enzo Lioi si stringano in un abbraccio mortale. Prima che anche di Peppe Diodato non resti che un corpo carbonizzato senza vita.
Saliamo su quel treno per rivivere la tragedia più grande che la Salerno del calcio ricordi. È un coltello che trafigge l’anima e oggi, come sempre accade il 24 maggio, affonda la sua lama sino a farci conoscere il più atroce dei dolori. Quattro giovanissimi uccisi nel fiore degli anni dalle fiamme assurde d’un convoglio di passione per la maglietta granata, quel simbolo che tra meno d’un mese festeggerà i suoi cent’anni di storia.
Saliamo su quel treno e il cuore piange in silenzio, con la voce “di dentro” che strilla. Urla fino a impazzire, mentre la mente va a ritroso a quella domenica bestiale del 1999, ultima giornata del campionato di serie A. La Salernitana e i suoi 10mila tifosi al seguito a Piacenza avevano pianto una beffarda e – come cronaca riconobbe e storia avrebbe poi confermato – tremendamente immeritata retrocessione in B dopo un pari (1-1) griffato Vierchowod-Fresi. La tragedia autentica, però, era di là da venire. E si consumò al risveglio, o meglio, quando cominciò a sfumare una notte insonne, mostrando che la vita, a volte, nella più cruda delle sue espressioni, prende a calci il pallone e le troppe aspettative che gli vengono affidate.
Saliamo su quel treno e (ri)proviamo le tensioni di quel post partita, poi il caos in stazione dove, per chi aveva raggiunto l’Emilia in treno, iniziò un viaggio all’inferno. Che costò quattro vite. Ciro ed Enzo erano cugini di 15 e 16 anni, Giuseppe ne aveva 23, “Vito” – come lo chiamavano i compagni di squadra della Rari Nantes – invece 21, e a lui è oggi intitolata la piscina di Torrione, omaggio al suo passato (all’epoca era presente) da pallanuotista oltre alla medaglia d’oro al merito civile che gli venne conferita dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi (donata al papà Giovanni, giornalista e punto di riferimento per tutto lo sport salernitano).
Saliamo su quel treno per non dimenticare come quei ragazzi persero la vita, in un folle rogo che, dal vagone numero cinque, divampò seminando terrore. Fuoco assassino. È la struggente narrazione d’una giornata straziante, ch’è un eterno presente: la stazione di Salerno, le fiamme, il fumo, l’angoscia e le lacrime “vere”, non quelle per una dannata partita finita male ma per quattro cadaveri portati via tra quel che restava di sciarpe granata mischiate alla cenere.
Come ogni 24 maggio, si (ri)sale su quel treno. Per ricordare quanto male ci fa.