di DARIO CIOFFI

La Signora compie gli anni, e però risparmiatevi pure la solita consumata storiella dell’età che non si chiede (a voce alta, ovviamente, ché poi lo fate con la manina a coprire la bocca, modello calciatori del nuovo millennio). Sono 110, vi risponderà convinta, visto che “vecchia” non si sente affatto.

Piuttosto, non chiedetele delle medaglie che ha vinto, perché questa è una domanda difficile senza almanacco a portata di mano, e c’entra nulla il fatto d’esser ultra-centenaria con l’umanissima giustificazione d’aver perso il conto. Di sicuro c’è che alle Olimpiadi nessuno ha portato il Tricolore sul podio più volte di lei. Ed è questo il motivo che fa della FederScherma la Signora dello sport italiano.

È una storia scandita da miti. Tre nomi (non) a caso? Nedo Nadi, Edoardo Mangiarotti e Valentina Vezzali. Ne servono altri? Ce ne sarebbero un po’, e però siccome le liste son fatte per dimenticare qualcuno, nel giorno in cui anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha fatto gli auguri a nostra Signora delle armi, nella cerimonia ufficiale di Palermo all’alba del 100esimo Campionato Italiano Assoluto, non parlerò di miti né campioni. Ma di gente qualsiasi. Di (tutti) noi altri. Quelli che in questo libro lungo 110 anni non firmano capitoli importanti, ma una paginetta di “ringraziamenti” sì.

Già, perché la scherma non è (mica) solo l’Inno di Mameli che suona tra gli dei dell’Olimpo o quell’onda azzurra che s’alza puntuale in ogni evento internazionale, che siano ragazzini o master in pedana, di solito cambia nulla. C’è (pure) dell’altro. E sono tante micro-storie, alcune spesso simili, che si fondono in quella “madre”, la stessa esaltata dal Presidente della Repubblica.

Sono frammenti di “vite qualsiasi”, segnate da un’esperienza che resta per sempre, anche se la bacheca non luccica granché. Prendete chi scrive…

A casa ho meno coppe della gelateria d’un paesello di poche anime nel più rigido degli inverni, e però da quasi trent’anni (un graffio, nei 110) ho in tasca una tessera (federale) che non si confonde mai tra le tante che, mentre l’età avanza, si mischiano a quelle dei supermercati. Un tempo serviva per l’iscrizione alle gare, oggi è un cimelio da custodire perché mi ricorda che, senza, nulla sarebbe stato com’è.

Non è per farla lunga. Ma a me la scherma ha insegnato un sacco di cose. Alcune? In ordine sparso…

A non piangere se perdi.

A non “atteggiarti” se vinci (ché poi, se non vinci la gara, uno che ti batte alla fine lo trovi, dunque è meglio saperlo da prima…).

A non sentirti mai solo, perché questo sport individuale non esiste se non fai parte d’una squadra.

Ad ascoltare.

A cercare di trasmettere.

A uscire senza genitori già prima che spuntassero i peli sulle gambe (le prime volte l’ho fatto con gli amici della palestra).

A fare i compiti “in fretta”.

A viaggiare senz’aver paura. Tipo, la prima volta che, a 15 anni, rimasi solo a tarda sera alla stazione di Napoli Centrale: aspettavo la coincidenza per Salerno, attorno a me c’erano parecchi “passeggeri” improbabili, aspiranti seguaci da “paranza” d’un Genny Savastano non ancora sceneggiato, e così pensai di “scappare” vicino al posto di Polizia Ferroviaria per attendere il mio treno al “sicuro”. Finì che rischiai di perderlo, perché in tutta quell’umanità gli agenti controllarono proprio me, per chiedere perché portassi quelle armi nella sacca…

In quegli anni ne capitarono parecchie, di storie divertenti. Come un ritorno da Formia, senza biglietto. “Facciamolo”, dicevo – fifone – all’amico che mi spiegava il segreto: “Se passa il controllore, fai finta di dormire. Separiamoci…”. Fifone sino in fondo, attesi il controllore per chiedergli di comprare il biglietto a bordo. Lui m’ignorò e tirò dritto. Più avanti s’incantò davanti al mio amico (finto) dormiente. Lo svegliò e gli fece la multa.

Ho perso il filo. C’è dell’altro che la scherma mi ha insegnato.

A mangiare – dividendolo – la domenica sera, in cuccetta, il panino del giovedì (ch’è “sempre buono”, dice un mio fratello con un altro cognome).

Ad asciugarmi dopo la doccia, se manca l’accappatoio, anche con l’asciugamano del bidè.

A girare l’Italia e scoprire quant’è bella.

A capire che c’è un tempo per tutto e va sempre speso, senza rinviarlo.

A fare mille altre cose che poi mi sarei ritrovato, alcune importanti, altre meno, però sempre “mie”.

Il Presidente Mattarella, baluardo d’equilibrio tra tanta politica urlata e scandita da post che scorrono fino all’ultima offesa, ha ricordato il valore pedagogico della scherma pescandone una particolarità meramente linguistica. “Non è senza significato – ha detto – che l’istruttore sia chiamato Maestro”.

Già, i Maestri. Quelli che tutto il Mondo c’invidia. Quelli che l’Italia esporta all’estero. Quelli che formano i campioni e quelli che restano, per sempre, tra i primissimi esempi per tutti “noi altri” che proviamo a imitarli.

È uno spaccato di FederScherma e di questa “festa” a cui ciascuno si sente orgogliosamente invitato, perché ne percepisce l’importanza, l’essenza, l’appartenenza.

Buon compleanno, Signora dello sport italiano, 110 di questi anni.

(foto Augusto Bizzi/Fis)

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