di DARIO CIOFFI

Il destino fa il giro largo, però alla fine salda sempre i suoi conti. La Salernitana è salva, è ancora in serie B, ha sterzato in tempo prima del baratro, con Leonardo Menichini saltato in corsa al volante, proprio all’alba dei cent’anni del club. In C retrocede il Venezia, dopo un playout da un impazzire: giocato un mese dopo il previsto e finito ai calci di rigore in una partita di ritorno trasformata in maratona estenuante e risolta dal destino – sì, sempre lui – che al crepuscolo d’un pomeriggio ormai sfumato nella sera decide di (ri)metter un po’ d’ordine in tanta confusione. 

Così chiama a sé Micai, il portiere che una settimana fa aveva subito un’aggressione lasciando l’Arechi e che al tramonto del primo tempo (regolamentare), ieri, aveva chiesto il cambio per un giramento di testa. Gliel’ha negato Claudio Lotito, il co-patron piombato negli spogliatoi a dirgli «prendi acqua e zucchero, va’ in campo e para, ché sarai tu a farci vincere la partita». Un po’ come le “segretarie buone” della scuola, quando ti convincevano a non telefonare a casa per chiedere ai genitori di venirti a prendere prima del suono della campanella. Micai ha ascoltato il pluri-presidente, che un’estate fa gli promise pure la Lazio, e ha parato il rigore a Bentivoglio, tra i più bravi dei veneti nel match d’andata e però killer dei suoi stessi compagni sul più bello.
È il destino, sempre lui. Lo stesso che ha messo sul dischetto per il rigore decisivo un ragazzotto di Trani che si chiama Francesco Di Tacchio, uno che non va giù neppure se lo prendi a martellate. Le ha giocate tutte tranne due, quest’anno, e il dio del pallone, che ha sì l’iniziale minuscola ma prova a premiare i fedeli più devoti, ha consegnato al suo mancino il tiro della salvezza, diventato decisivo perché Coppolaro un attimo prima l’ha sparata nella Curva dei mille. Hanno vinto anche loro, i cuori granata, e alla fine hanno scelto di festeggiare da soli, “cacciando via” i calciatori. Perché non solo il destino, anche “la ragione”, prima o poi presenta il conto.
Sana e salva, la Salernitana resta aggrappata alla B in una domenica bestiale, iniziata con l’infortunio di Jallow nel riscaldamento e continuata, dopo 40 minuti d’una noia invincibile, con un finale di primo tempo choc: Modolo, mestiere difensore, si fa largo in area con un numero da attaccante, mandando al bar Lopez e chiude con un gran destro che fa di ghiaccio Micai (41’). Pareggiato il 2-1 granata dell’andata, il Venezia si ritrova pure con un uomo in più perché uno sciagurato Minala, con una gomitata su Modolo vista dal Var, lascia i compagni in dieci. Panico. Però non è tempo di mollare. I salernitani al Penzo fanno un tifo infernale, mentre per il popolo arancioneroverde, con gli ultras in sciopero contro Lega B e Federcalcio, canta soltanto la tribuna intonando un «Ve-ne-zia/Ve-ne-zia» a mo’ di «ba-cio/ba-cio» alle feste di compleanno quando arriva il momento della foto con la fidanzata dietro la torta.
La Bersagliera resiste. Andrè Anderson ci prova due volte, senza beccare il bersaglio. Di fatto è l’unico ad aver tirato in porta, ma Menichini lo sfila per inserire Orlando (56’). Non è una mossa sbagliata, perché il mite Leo, talismano quanto si vuole ma pure d’una lucidità tremenda, alla fine si mette sempre dalla parte dalla ragione, con i fatti. La Salernitana soffre, “benedice” Micai che salva almeno due volte la porta, accompagnando l’ippocampo prima ai supplementari e poi ai calci di rigori, grazie pure a un Djuric sontuoso, meraviglioso. Destino strano, finire così una stagione in cui i granata di penalty ne avevano avuto uno soltanto. Segnano tutti, dagli undici metri, quelli con il cavalluccio marino sul petto: Casasola, con un bacio al cielo per il papà; Calaiò, che gioca quanto dura la luce nelle scale ma ha storia e spalle larghe di chi è glaciale sui palloni che pesano come piombo; Pucino, capitano coraggioso; e poi Di Tacchio, l’indistruttibile stacanovista. Ne bastano quattro di rigori alla Salernitana per salvare la serie B nel suo campionato del Centenario.
Il volar di stracci, inevitabile, inizia già quando i battelli non hanno ancora lasciato l’isola di Sant’Elena, però prima c’è un’umanissima emozione da vivere sino in fondo, e pure qualche lacrima di gioia da buttar fuori come alla fine d’ogni calvario, scacciando gli ultimi incubi d’una stagione maledetta. Perché anche la notte più lunga non è mai eterna.

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