di DARIO CIOFFI

C’è chi dice no. No ai soliti schemi, no al così fan tutti, no all’insopportabile e spocchiosa retorica ch’è regina del calcio e che impone – a citare un esempio mica per caso – di non fare un passo avanti prima che la società abbia annunciato l’ingaggio. «Aspettiamo l’ufficialità», ripete chiunque a mo’ di disco rotto. Chiunque, sì. Però, c’è chi dice no. Leonardo Menichini, per esempio, il 6 maggio scorso non aveva tempo per far melina, scandaglio o traccheggio. L’avevano appena chiamato per (ri)prendere dal cestino della spazzatura quel che restava d’una Salernitana che vagava in campo senz’arte né parte, che perdeva contro avversari svuotati e sfiniti (loro?) e, incapace di metter mano al suo destino, sprofondava inevitabilmente verso il baratro della serie C. Quel lunedì il mite Leo accettò la proposta di Claudio Lotito sulla parola, e a tutti gli altri che lo incalzavano sui dettagli, siccome non è ruffiano da stare ore al telefono ma neppure sgarbato da non rispondere, lasciò un telegramma: “Domani raggiungo la squadra in ritiro”. Non c’era più margine. Né per perdersi in chiacchiere né per aspettare il fatidico comunicato sul sito di bandiera, ch’è legato a firme, controfirme o depositi. Lì, nell’esilio di Ardea, c’era da lavorare immediatamente per ricomporre i cocci d’un disastro. E fa nulla, pensò il tecnico che quella serie B all’ombra del Castello d’Arechi l’aveva conquistata nel 2015 e poi difesa l’anno dopo, se per qualche giorno potevano dargli “dell’abusivo”. È stato un modo per sentirsi ancora più vicino alla gente. Ora più d’allora, dopo aver fatto l’impresa, salvando la Salernitana ai playout e conquistando la conferma pure per l’anno che verrà.

Day after, Menichini. Com’è stato il risveglio dopo la vittoria di Venezia ai calci rigori?
Bellissimo. Anche se ho dormito poco. Sono felice, sollevato. C’ho sempre creduto ma sapevo quanto fosse complicato raggiungere l’obiettivo.
Lo è stato, se possibile, ancora di più.
Sì, perché questo maledetto spareggio non arrivava mai. Giorni e giorni, dopo la sconfitta di Pescara, a pensare se si giocava oppure no, ma poi quando, e contro chi? È stata durissima soprattutto dal punto di vista psicologico. E la partita del Penzo ha rappresentato il degno epilogo di tutte queste difficoltà.
Cosa intende?
Beh, è successo di tutto. Jallow che si fa male, Micai che rischia d’uscire, Minala che si fa espellere. Però non c’era neppure il tempo d’arrabbiarsi. Toccava solo ricompattarsi. È successo nel match di ritorno dei playout e per tutto il mese in cui ho allenato questa squadra. C’era da ricucire il rapporto con l’ambiente, da riavvicinare i tifosi, da stringerci tutt’insieme per l’esclusivo bene della Salernitana. E ci siamo riusciti.
Quanti meriti si dà?
Ho fatto semplicemente il mio dovere, provando a lavorare al meglio su un gruppo che ha sofferto tanto, cercando di fargli dimenticare il passato. Il campionato aveva preso una brutta piega, ma io sapevo che, non staccando la spina, potevamo farcela.
Altrimenti, fuori dall’equivoco, non avrebbe mai accettato…
Sono sincero, altrove no. Però qui è diverso.
Diverso perché?
La Salernitana è una mia creatura, è un po’ come una mia figlia. Ha chiamato quand’era in difficoltà, non potevo dirle di no. Sarebbe stato come rinnegare me stesso.
Romantico. Sicuramente non banale. Eppure a quella mancata riconferma dopo la promozione dalla Lega Pro del 2015, che si ripeté pure a seguito della salvezza in B conquistata dodici mesi dopo da subentrato, non dica che non ci ha ripensato.
Nel calcio sono cose che succedono. L’importante è dare il massimo quando si è chiamati a fare il proprio lavoro.
È diplomatico…
Sono sincero. Ho conservato un ottimo rapporto con Claudio Lotito. L’ho rivisto in qualche partita della Lazio Primavera a Formello, l’ho risentito in varie occasioni. C’è stima, ed è reciproca. È stato un piacere ritrovare lui, il co-patron Marco Mezzaroma e il direttore Angelo Fabiani.
Con il ds in passato le divergenze non sono mancate.
Abbiamo sempre operato entrambi per il bene della Salernitana. E ci siamo abbracciati dopo questa salvezza, perché sono stati giorni intensi. A Venezia abbiamo fatto qualcosa d’importante…
La partita è negli occhi e nel cuore di tutti, mister. Però va da sé che ora si pensi al futuro.
Fino a poche ore fa eravamo in mare aperto, in mezzo alle onde e alla tempesta. Siamo appena tornati. Parlerò con la proprietà nei prossimi giorni.
Ma Lotito ha già confermato Menichini, forte d’una clausola contrattuale che prevedeva il rinnovo automatico in caso di salvezza.
Sono felice delle parole del presidente. Sì, c’era un accordo. Una promessa.
Tutto sancito quel famoso 6 maggio. A proposito, cosa stava facendo quando arrivò la fatidica telefonata?
Nulla – sorride -. Mi tenevo aggiornato, seguivo partite, anche quelle della Salernitana. Ed ero a disposizione di mia moglie, per dare una mano in famiglia.
Accennava prima alla scelta d’accettare una panchina a 90 minuti dal tramonto della regular season.
Si decide anche di pancia. Io me la son sentita così. C’era anche il rischio di retrocedere direttamente dopo una partita soltanto, e non sarebbe stato il massimo.
E invece adesso?
Ho circa 500 messaggi ancora da leggere. Vorrei rispondere a tutti.
Chi le scrive?
Ex calciatori che hanno lavorato con me. Uomini di calcio. Ma pure amici che con questo sport non c’entrano nulla. E poi tifosi, tantissimi tifosi. Molti non so neppure chi siano e come abbiano il mio numero. Ma la Salernitana è così. Fa sentire tutti uniti anche se non ci si conosce.
È una delle ragioni del sì d’un mese fa?
È un esempio di cosa sia questa squadra. Mi sono emozionato nel rivedere 13mila tifosi all’Arechi, e poi i mille di Venezia. Lì, dopo i rigori, ho visto gente piangere.
Psicologia d’una piazza che conosce bene.
Già, la psicologia. Mi preme ringraziare Sandro Corapi, un amico e un grande mental coach. Sono stati fondamentali i suoi consigli per tagliare questo traguardo. L’aspetto mentale nel calcio di oggi è diventato importantissimo e professionisti come lui sono illuminanti.
Ma il pacato Menichini come faceva a esser il vice d’un vulcanico come Carletto Mazzone?
Perché caratterialmente c’integravamo. A lui devo tutto, è un maestro di calcio e mi ha insegnato ogni cosa.
La più importante?
Non mollare mai, a non perdermi d’animo in nessuna situazione. Ho pensato a lui a Venezia: ci sono stati momenti in cui la Salernitana poteva sciogliersi, crollare. Ma io ho cercato di trasmettere grinta e positività ai miei ragazzi.
Pronto a parlare di Lotito?
Perché non dovrei…
Risponda con sincerità, anche se è stato appena riconfermato.
Nessun problema. Qual è la domanda?
Perché il rapporto tra il co-patron e la piazza di Salerno è così teso?
Il presidente è un personaggio importante nel calcio italiano, un dirigente capace, un innovatore. Io posso garantire che la Salernitana conta tanto per lui, e che quest’anno Lotito e Mezzaroma hanno messo un bel po’ di soldi per allestire la squadra. Non so per quali motivi i risultati non sono stati all’altezza, però non si può certo dire che non tengano a questo club. Insomma…
Insomma?
Io mi terrei stretto Lotito. Sempre. Se poi arriva uno sceicco che s’innamora dell’Arechi, allora magari discutiamo d’altro.
Discutiamo della Salernitana di Menichini versione 2019/2020?
Dovremo prima parlarne con la società. Di sicuro io sono pronto a metterci tutto il mio entusiasmo e la mia professionalità.
Se le dico 19 giugno, cosa risponde?
Il compleanno d’una squadra che dà gioie e amarezze, ma che ha una grande storia e ch’è amata da tanta gente. Pure da me.
E siccome è parte di questa storia, ci sarà Menichini al Centenario?
Vedremo. Intanto sono orgoglioso d’aver contribuito al fatto di poterlo festeggiare ancora in serie B. Se verrò invitato, sarò felice d’esserci.

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