di DARIO CIOFFI
Cent’anni e mille storie. Il capodanno granata è un’apoteosi sotto le stelle, da far brillare allo scoccare della mezzanotte di martedì, quando il piazzale della Curva Sud Siberiano sarà l’El Dorado d’una passione che festeggerà come non era mai successo l’arrivo del 19 giugno. Un secolo fa, al civico 67 del fu Corso Umberto I, nacque l’Unione Sportiva Salernitana, la Bersagliera d’un popolo intero, e Gianni Novella sarà il primo a gridarle “buon compleanno”.
I gruppi ultras hanno affidato a lui, affiancato da Ciro Girardi e Anna Maria Baccaro, la presentazione del “veglione” dell’Arechi. E Gianni, pur d’accettare l’invito, ha fatto qualcosa che non tutti capiranno. «Ho chiesto di spostare la chemio. Era fissata per lunedì. Non ce l’avrei fatta, il giorno dopo, a stare su quel palco. Però ai ragazzi della Sud non potevo dire “no”». Le parole d’un gigante, scandite con il sorriso. Non l’ha mai perso, neppure in questo periodo d’inferno in cui ha cominciato a convivere e combattere con un mostro che minaccia di fargli molto male. Così l’ha sfidato, senza partire dal presupposto che l’avversario fosse più forte. «La Salernitana è la mia miglior terapia», racconta Novella mentre si prepara all’incontro per metter nero su bianco la scaletta di martedì sera.
I medici già sanno. Con loro l’appuntamento slitta di qualche giorno. «Io mi sento bene, e allora sono pronto a dare il mio contributo per il Centenario. Un onore e una grande responsabilità», le parole di Gianni che sarà volto e voce pure del gala delle vecchie glorie il 20 giugno a Santa Teresa. Sono i giorni della storia, e lui che sugli spalti ha vissuto metà di questo percorso, tifoso granata da mezzo secolo («a fine anni Sessanta papà ha cominciato a portarmi al vecchio Vestuti»), ha deciso di viverli intensamente, con buona pace del mostro di cui non ci si può fidare. «I medici sono stati chiari. Mi hanno detto: “Signor Novella, la prognosi è grave e i tempi…”».
Al diavolo quei puntini sospensivi. Gianni è uno che non si spaventa. E anzi, se proprio deve dirla tutta, dà pure un’impareggiabile lezione di come si può vivere un umanissimo dramma senza prendersi troppo sul serio: «Certo, non è bello né facile sentirsi dire che rischi la vita. Però quando ho visto i calci di rigore di Venezia sono stato peggio. E dopo il gol di Di Tacchio, quando ho avuto la certezza che la nostra Salernitana era salva, allora ho cominciato a piangere e tremare. Non faccio mica così durante la chemio».
Ha scelto di lottare raccontandosi, Gianni. Perché «non serve farsi cadere il mondo addosso», e così, senza volerlo né saperlo, è diventato un esempio per tanti. «Ne sono felice. Ricevo moltissimi messaggi da persone che in situazioni simili hanno trovato aiuto o conforto nelle mie parole». Sceglierà quelle giuste anche martedì. «Ho temuto di non vederlo, questo Centenario. E invece adesso lo presento nella notte del capodanno granata. Vorrei rivedere anche la serie A. Tra pericolo retrocessione e malattia, fino a qualche settimana fa ero messo maluccio. Adesso ho rimontato. Sì, ora sono in vantaggio io». Cent’anni (di passione), e forse la più bella di mille storie.