di DARIO CIOFFI
C’è un cimelio di carta un po’ ingiallita, sopravvissuta al trascorrere inesorabile del tempo. Benedette le emeroteche, un baluardo, custodi delle cronache diventate storia. Ultima domenica di maggio dell’anno 1966. Bruno Vespa ne aveva 22 e firmava su “Il Tempo” una pagina importante per l’oggi centenaria Salernitana.
L’incipit è un virgolettato scandito in coro da 4mila cuori granata. «Andiamo in B, geghe-geghe-geghegè». Comincia così il reportage da L’Aquila sulla promozione granata in serie B. Era la squadra del presidente Michele Gagliardi, del segretario-factotum Bruno Somma e dell’allenatore-mito Tom Rosati che condusse al trionfo quei ragazzi terribili in cui brillava, al netto della sfortuna, la stella di Pierino Prati. La formazione di quel giorno era riportata così, con l’utilizzo dei “punti e virgola” – oggi necessari per separare i reparti e identificare i sistemi di gioco – da intendere semplicemente come un’eredità della “piramide di Cambridge” che sta(va) alla base del football dei pionieri: Piccoli; Rosati, Iosio; Aliberti, Scarnicci, Minto; Corbellini, Cominato, Prati, Cignani, Sestili.
A ben (ri)pensarci, scandendo le pause con la punteggiatura, è il ritmo con cui fino a una ventina d’anni fa si decantavano le squadre con la numerazione classica, dall’1 all’11. In cima all’articolo, ancor prima del tabellino del match, finito 0-0, la pregevole icona (duplicata) d’un telefono per annunciare la “Nostra corrispondenza”, ché allora gli articoli s’inviavano così, dettando i testi al telefono, “a braccio”.
«Grazie per avermi riportato alla gioventù, ai miei vent’anni», è la risposta di Bruno Vespa sollecitato oggi su quell’amarcord a più di mezzo secolo di distanza. «Ovviamente – ammette – non ricordo nello specifico quella partita, però ricordo che la Salernitana era una squadra formidabile e infatti ha avuto quella meritata carriera che purtroppo è mancata all’Aquila». Parole che corrono lungo un affascinante filo del tempo. Ora come allora, il “signore della tv italiana”, abruzzese e aquilano, elogia la squadra di cui – testualmente – scrisse: «La Salernitana ha impressionato favorevolmente soprattutto all’attacco, dove Prati e Corbellini sono stati due furetti incisivi ed onnipresenti ed hanno largamente beneficiato dell’apporto volenteroso e spesso efficace di Sestili e Cominato, spinti da quell’Eolo poderoso di Minto (tanto bravo, tanto cattivello) che praticamente ha disbrigato da solo gran parte del lavoro di centrocampo».
E però il meglio di sé Vespa lo offre nella narrazione “di colore”, nel racconto di quel che accadde sugli spalti. Di nuovo in cima all’articolo, (ri)partendo da quel coro che fu colonna sonora del delirio granata in una partita – importante ricordarlo – ch’era stata ripetuta, rinviando di fatto la festa promozione che Salerno aveva già consumato per aver superato allo sprint il Cosenza. «Quando l’arbitro Barbaresco, un signore statuario, energico, incisivo e preciso, ha dato fiato al fischietto per tre volte, i trilli convenzionali introdotti da migliaia di Rita Pavone in maniche di camicia, con le cravatte penzoloni e una bandiera granata in mano, sono stati sommersi da un boato inaudito, spinto verso il centro del campo da migliaia di braccia nude e impazzite, da centinaia di persone che non credevano ancora a un sogno raggiunto dopo dieci anni di incubi e illusioni – scrive colui che sarebbe diventato una delle figure più autorevoli del giornalismo italiano -. Così, aperta la porta della tribuna stampa, uno di questi tre-quattromila salernitani venuti a incoronare la loro squadra, ci è piombato addosso svenuto. Due sberle, poi, riaperti gli occhi, li gira verso un amico, si assicura che non stia sognando, e sviene di nuovo. Ora tutti sono protesi verso la rete che separa le tribune dal terreno di gioco. Tutti correrebbero a partecipare all’amplesso collettivo di quei pochi fortunati che hanno raggiunto i giocatori della Salernitana e li stanno spogliando. Una maglia, anche una sola manica della casacca di Sestili e di Corbellini, di Minto o di Prati, vale una manciata di anni di vita (“Dieci”, precisa un tifoso panciuto), per questa gente che della promozione della squadra ha fatto provvisoriamente il perno della propria esistenza».
Non è finita. Bruno Vespa ha ancora inchiostro per esaltare l’esodo granata, a suo modo, con uno stile non banale, che invita il lettore a immergersi nella narrazione e a non cascare nella metafora del fattore campo invertito: «Non si dimentichi che l’Aquila è riuscito a pareggiare nell’incontro… esterno più difficile. Se i salernitani infatti rappresentavano solo la metà del pubblico erano i soli a urlare ed a scalmanarsi».
Sulla pagina de “Il Tempo” che lunedì 30 maggio 1966 celebra il ritorno in serie B della Salernitana ci sono pure una foto degli “artefici” del ritorno in B, un primo piano di Tom Rosati e un’illustrazione del presidente Gagliardi in versione sollevatore di pesi. «Granata in delirio» è il titolo del reportage sulla festa a Salerno firmato da Lino Schiavone, nome e cognome dalla rilevanza storica enorme nella vita centenaria della Bersagliera. Infine, «La parola agli sportivi», con le interviste raccolte in città, articolo che oggi ispirerebbe il comodo “copia e incolla” d’una decina di post sui social, quel giorno realizzato con penna e taccuino, tra la gente, da Matteo Spadafora.
Era l’apoteosi che solo una promozione della Salernitana sa creare e far vivere. Nella chiosa del suo articolo il giovane Bruno Vespa la annuncia così: «I tre fischi e un boato». La dolcissima consuetudine d’un’esplosione di gioia – questa sì – sopravvissuta al trascorrere inesorabile del tempo.