di EDOARDO CIOFFI
Da quel “fenomeno Chievo” raccontato nel libro degli autori Marco Vitale e Gian Paolo Ormezzano, ne è passato di tempo. La “favola” del club di quartiere che con le proprie forze arrivò nel salotto buono del calcio, provando pure a combattere – come Davide contro Golia – contro i miliardari dell’epoca, in questi anni ha lasciato spazio alla realtà. Quando il Chievo s’affacciò per la prima volta in serie A, in Italia ancora doveva essere introdotto l’euro come moneta e le big del calcio nostrano investivano miliardi (delle vecchie lire) per assicurarsi i campioni. N’è passato di tempo, esattamente diciotto anni, da quel 2001 che vide la squadra di una frazione della città di Verona come “sorpresa” della serie A, per poi divenire pian piano una habituè del massimo campionato italiano. Poche risorse economiche – descritte anche nel libro edito nel 2002 dalla Scheiwiller , dove vennero confrontati i bilanci del club veneto e delle big del Belpaese – ma tanta competenza nella gestione di una società di calcio. Riuscire a fare tanto, pur avendo (quasi) nulla, questa è stata la filosofia del Chievo, il “fenomeno” del calcio italiano del terzo millennio. Così nella zona adiacente a Borgo Milano, quartiere della zona ovest della città di Verona, è “esplosa” la squadra gialloblu che a suon di risultati si è consolidata stagione dopo stagione, fino a diventare una certezza del calcio italiano. Artefici di quel miracolo sportivo, furono su tutti Luca Campedelli, Giovanni Sartori e Luigi Delneri. Il Ceo (“Chievo”, in dialetto veneto) a questi uomini deve tutto, perché grazie alla loro lungimiranza il club è riuscito a togliersi grandi soddisfazioni e a stazionare nei piani nobili della classifica del massimo torneo nazionale, conquistando addirittura l’accesso alle competizioni europee.
Chievo-Salernitana del 3 giugno 2001, terminata 2-0 per i gialloblu grazie alle reti del “toro di Mariconda” Ciro De Cesare e di Lorenzo D’Anna, rappresenta una data storica per il team scaligero, perché fu la gara che sancì la storica promozione in massima serie. La prima stagione in serie A, conclusasi col 5° posto dopo aver dato filo da torcere, soprattutto nel girone d’andata, alle big del campionato, fu solo l’inizio per il team gialloblu, che l’anno dopo si trovò a disputare il primo turno di Coppa Uefa (poi perso) contro la blasonata Stella Rossa di Belgrado. Quella non fu però l’unica apparizione del Ceo sul palcoscenico europeo, visto che i mussi volanti (nome ideato in seguito a uno sfottò dei tifosi dell’Hellas Verona) riuscirono addirittura a disputare i preliminari di Champions League a margine del campionato 2005-06, che vide la classifica finale stravolta dalla vicenda Calciopoli. Il Chievo guidato da Bepi Pillon era arrivato settimo in classifica ma a seguito delle penalità inflitte a Juventus, Milan, Fiorentina e Lazio, si ritrovò in quarta posizione e andò a giocarsi coi bulgari del Levski Sofia l’accesso ai gironi di Champions League. Spalle larghe, però, il club scaligero dimostrò di averle soprattutto nella stagione 2006-07, quella cominciata proprio col preliminare europeo perso coi bulgari ma terminata con la retrocessione in serie B all’ultima di campionato. Sul neutro di Bologna (per l’indisponibilità del Massimino dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti) il Catania ebbe la meglio sul Chievo, facendo sprofondare i veneti in serie B. Sulla panchina del Chievo, nel frattempo era tornato mister Delneri, che aveva preso il posto di Pillon per provare ad ottenere la salvezza. Sembrò la fine di un ciclo, l’ultimo atto di quel “miracolo” sportivo che proprio col trainer di Aquileia era cominciato nel 2001 e dopo sei stagioni sembrava esser giunto al capolinea. Niente di tutto ciò, perché il Ceo ripartì dalla cadetteria con grande entusiasmo, scegliendo Beppe Iachini come allenatore e mettendogli a disposizione una “corazzata” per la categoria. Grazie ai 23 gol messi a segno dal bomber e capitano, Sergio Pellissier, coadiuvato da compagni del calibro di Marcolini (attuale allenatore clivense), Ciaramitaro, Italiano, Obinna e tanti altri, il Chievo di Iachini riuscì a tornare in massima serie dopo un solo anno di “purgatorio”, vincendo con merito il campionato di serie B. Da allora, altre undici stagioni di fila in serie A, fino alla retrocessione dell’ultimo torneo cominciato con D’Anna in panchina e terminato con Mimmo Di Carlo, dopo un breve interregno targato Gian Piero Ventura.
La competenza e l’umiltà, hanno permesso in questi anni al club veneto di restare sempre nel calcio che conta, sfornando calciatori che si sono poi affermati anche in top club europei. Tra i tanti, non vanno dimenticati Simone Barone, Andrea Barzagli e Simone Perrotta, tutti “partiti” dai ritiri di San Zeno di Montagna e dagli allenamenti a Veronello e divenuti poi campioni del mondo con l’Italia di Marcello Lippi nel 2006. Anche quando il deus ex machina Sartori decise di lasciare i gialloblu nel 2014, per tentare l’avventura da responsabile dell’area tecnica dell’Atalanta, il Chievo continuò a camminare sulla stessa strada tracciata dal dirigente di Lodi negli oltre 20 anni di lavoro nella città di Romeo e Giulietta. Tuttavia, non sono mancate alcune “ombre” sulla recente gestione del club scaligero, che da “modello virtuoso” della prima epoca del terzo millennio, è passato a oggetto di indagini per plusvalenze fittizie, rimediando nella scorsa stagione anche una penalizzazione di 3 punti (dopo la richiesta iniziale della Procura di ben 15 punti e 36 mesi di inibizione per il patron Campedelli). La Guardia di Finanza di Forlì, infatti, eseguì un’ordinanza del Gip del Tribunale romagnolo in merito a presunte condotte illecite connesse alla compravendita di giovani calciatori avvenute tra le società di Cesena e Chievo. Una “macchia” su una società che aveva sempre fatto scuola in quanto a regolarità dei bilanci e gestione finanziaria. Quest’anno, così come per la Salernitana che ha provato a resettare tutto dopo l’ultima tribolata stagione, anche per il Chievo è un anno zero.
L’approccio avuto dal Chievo nei confronti del torneo cadetto, sembra diverso rispetto a quello di undici anni fa, quando il club capitanato da Campedelli preservò i suoi pezzi migliori per fare la voce grossa in serie B. Finora, i gialloblu hanno raccolto 5 punti in 4 gare disputate ma rispetto alla stagione scorsa, il Chievo ha cambiato diversi calciatori, dando quasi la sensazione di “smobilitare”. Agli addii del portiere Sorrentino e della “bandiera” Pellissier – quest’ultimo entrato a far parte del management clivense dopo aver scelto di appendere gli scarpini al chiodo alla soglia dei 40 anni – hanno fatto seguito tante altre illustri cessioni, quali Cacciatore, Rigoni, DePaoli, Bani, Kiyine, Leris e nelle ultime ore di mercato pure Stepinski ed Hetemaj. Tuttavia, la squadra di Marcolini vanta comunque calciatori del calibro di Emanuele Giaccherini (indisponibile per la sfida all’Arechi), Filip Djordjevic e Riccardo Meggiorini, che per la serie B rappresentano sicuramente un lusso. In altri reparti, invece, il Ceo ha puntato su diversi giovani, tentando qualche “scommessa” in più rispetto all’ultima volta in cui disputò la serie B. Per gli addetti ai lavori, l’undici di Marcolini resta, al pari delle altre neoretrocesse Empoli e Frosinone, tra le maggiori accreditate al salto di categoria. Tuttavia, va considerato il valore complessivo della rosa clivense che si ritrova ad avere buone individualità, soprattutto nel reparto avanzato, ma pure diverse incognite per un torneo ostico come la serie B.