di DARIO CIOFFI
Il posto fisso sarà pure un’utopia, ma per quello della macchina neppure si scherza. Meglio il garage sotterraneo, quindici euro tariffa fissa e “passa la paura”. Ché l’orologio cammina e alle sette del mattino s’è già sincronizzato con l’ansia, dopo che i gruppi social hanno avvisato i naviganti: «Non fate tardi, alle nove chiudono i cancelli». Mancherebbero due ore, però se la cosa va presa davvero sul serio, tanto vale sentirsi “di fretta”. Napoli, Mostra d’Oltremare. Di qua la stazione Campi Flegrei, di là lo stadio San Paolo, dentro qualche migliaio d’aspiranti vincitori del Concorsone – con l’iniziale maiuscola – varato dalla Regione Campania, una fiera dei sogni per tanti giovani e non solo figli d’una terra in cui non si sa se ha più coraggio chi scappa o chi resta.
Sette e un quarto, cancelli aperti. L’uomo-parking è un tipo pratico. Fuma Marlboro di buon’ora, indica lo stallo, «dritto a te, ‘nfaccia ‘o muro» e chiede di lasciare le «chiavi vicino». Dà del “tu” e sbriga in fretta per far avanzare il prossimo cliente, però saluta cordiale, con un fare affettuoso, persino eccessivo. È la vita: si (ri)passa in un attimo da una camicia a una polo, da una cravatta a uno zainetto, da un «bòngiorno dotto’» a un «we ciao cumpa’».
Tutti dentro, si diceva. O almeno, chi s’è anticipato sul “fischio d’inizio” fissato alle otto del mattino. Orario, poi, che di fatto indica solo il via del riscaldamento. Perché lo start effettivo, e in questo i gruppi Facebook avevano già ampiamente argomentato, è non prima delle dieci.
Mini-coda sull’uscio del padiglione. Poca roba. Nella location espositiva più grande del Sud Italia, ch’è stato fino a qualche settimana fa quartier generale del comitato organizzatore dell’Universiade Napoli 2019, ancora riecheggia qualche sospiro per il “miracolo” d’una kermesse salvata e riuscita, proprio quando sembrava sul punto di finire inevitabilmente a buonedonne. Ora a Fuorigrotta il via-vai è dei candidati a prendersi qualcosa ch’è come un diamante: un impiego pubblico per sempre, di quelli che “non si lasciano mai” a dirla con un gran film di Checco Zalone.
L’avvio delle preselezioni da 300mila iscritti, spalmati giorno per giorno dall’alba di settembre, è stato choc: proteste, ritardi, figuraccia e qualche sceneggiata per le fotocopiatrici ko. Una falsa partenza, però poi la macchina ha cominciato a camminare. E ora che s’è rodata viaggia spedita. Ingresso, riconoscimento e benvenuti tra i banchi. Al diavolo l’ansia e il terrore del ritardo, il tono del «buongiorno» dello speaker lascia chiaramente intendere che l’attesa sarà più lunga che per un volo intercontinentale in aeroporto.
Sono le otto del mattino e -si sente dall’altoparlante, con un accento romano assai radiofonico, e però meno empatico della voce che alla stazione t’annuncia il treno e invita ad «allontanarsi dalla linea gialla» – le operazioni cominceranno quando nell’area concorsuale ci sarà un numero congruo di partecipanti.
Telefoni già spenti. Gianni, una laurea in Economia in tasca, marito e papà arrivato sulla quarantina insoddisfatto nonostante la pergamena appesa al muro, racconta d’avere uno studio di commercialista condiviso con qualche amico-collega e, mostrando la simpatia di chi conosce così bene il mondo da riderci sopra, comincia a tener banco. «Mi ha iscritto mia moglie perché, lei lo sa, mo’ a tutto quello che vede mi deve iscrivere. Mi sono iscritto perfino alla piattaforma di Beppe Grillo, ché se ci pensate, facendo due conti, è più facile diventare parlamentare dei Cinque Stelle che prendere ‘o posto alla Regione. E lo stipendio è differente, non so se mi spiego…». Giù risate. Qualche commissario, o addetto alla vigilanza (li chiama lo speaker), s’insospettisce ma è ancora presto. Si può continuare a scherzare. Gianni riparte: «L’omonimo mio, Morandi, cantava “Uno su mille ce la fa”. Va da sé che nun s’ port’ chiu’, almeno qua». Geniale.
La sala inizia a gremirsi, pure se le zone laterali restano vuote. Si dice che la metà degli iscritti abbia deciso di non presentarsi. Della serie: non ci credo e neppure ci provo, anche se per un attimo ho pensato di fare un tentativo. Lo speaker inizia a schiarire la voce. Sorteggio delle prove, poi le fotocopie, quindi le istruzioni ai candidati. Un mix d’utili indicazioni, e di warning da scuola elementare. Necessari pure quegli avvertimenti, probabilmente. L’ora X, quella indicata dagli “amici di Facebook”, sta per scoccare.
Le dieci del mattino. Una donna gentile e concreta, che mischia toni materni a messaggi più decisi («inutile che fotografate i test, tanto c’è l’accesso agli atti on-line»), prende il comando delle operazioni per riempire gli ultimi vuoti. Uno squadrone di steward prepara le buste da consegnare. Venti minuti dopo le dieci si comincia davvero.
Ottanta domande in altrettanti minuti. Alcune, sulle leggi regionali, risulterebbero complicate persino a funzionari di lungo corso (proviamo? Sarebbe carino…). Altre sollecitano il ragionamento logico. Un po’ di cultura generale. C’è qualcosa di geografia da alunni in grembiule ed enigmi matematici che mortificano parecchio l’impotenza (meglio la ruggine? Più elegante) d’uno che s’è diplomato al liceo scientifico. Per qualcuno il tempo vola, per altri è persino troppo.
«Mancano dieci minuti», avvisa il vocalist. E qualcuno ha già posato fogli e penna cominciando a dare segni d’insofferenza. C’è chi paga l’astinenza dalla nicotina, chi dallo smarthphone. Fa un po’ triste, ma sempre meglio che provarle entrambe. Gianni, il filosofo del banchetto accanto, all’atto della consegna fa le sue personalissime analisi post Concorsone. «Bella organizzazione», comincia mentre passeggia verso l’uscita di via Marconi che non è ancora mezzogiorno. «Qualche domanda troppo facile, impossibile da sbagliare, altre così difficili da rinunciarci. Insomma: non passerò. Questo è sicuro», continua l’uomo-rivelazione della mattinata napoletana mentre riaccende il suo telefonino a pochi passi dalla sede Rai dove ha lasciato la sua auto.
«Questi qua – e indica il suo iPhone – sono la rovina nostra. Ti giuro sui figli miei: in fila, davanti a me, c’era una ragazza che di più belle non se ne trovano. E quei maschi davanti a me che facevano? Manco la guardavano. Stavano come i deficienti con gli occhi sullo schermo, a cercare le femmine su Instagràm. Mentre a un metro ce ne avevano una in carne e ossa». Riflessione interessante, peccato chiuderla qui.
L’escursione sociologica arricchisce l’esperienza della Mostra d’Oltremare. Però Gianni è uno che non si prende troppo sul serio. Insomma, non può congedarsi così. E infatti, a mo’ di chiosa, sceglie d’ironizzare su una particolarità del Concorsone: gli steward tra i banchi, a supporto della commissione e del comitato di vigilanza, per verificare che i candidati non commettano irregolarità durante la prova. «Ho fatto tanti lavori nella mia vita. Ma così tanti che uno buono lo sto ancora cercando. Dal dottore commercialista presso cui ero praticante mi è successo d’esser stato richiamato per l’abbigliamento, quando d’estate mi presentavo in maglietta e pantaloncini. Beh, oggi in aula m’è capitato d’esser “controllato”, perché non copiassi, da un ragazzo con la tuta felpata e il cappello dei Chicago Bulls». Cosa non si fa per sognare un posto fisso…